Il motore Fire ha segnato un’epoca nell’automobilismo italiano e non solo. Il suo nome è ricavato dall’acronimo di Fully Integrated Robotized Engine e sin dalla sua nascita si è contraddistinto per la natura rivoluzionaria e tecnologica.
Sì, proprio così. Come abbiamo già detto in un nostro precedente articolo, negli anni ’80 il motore Fire era considerato un riferimento per la progettazione meccanica dei propulsori da autotrazione. Volendo essere più precisi, andiamo a ripercorrere le tappe fondamentali: Dalla nascita allo sviluppo di questa leggenda tricolore.
Il motore Fire, inizialmente, nacque dalla collaborazione di Fiat e PSA (società mista dei marchi francesi Peugeot, Citroën e DS). Il progetto fallì a causa della mancata disponibilità economica, in fase di sviluppo, del gruppo francese. Il progetto proseguì grazie a Fiat, ed ecco il motivo principale per cui oggigiorno il motore Fire resta associato esclusivamente al marchio torinese.
Il 30 marzo del 1985 venne ufficialmente presentato dall’allora presidente Fiat, Gianni Agnelli, nella giornata di inaugurazione della terza ala dello stabilimento di Termoli.
Il Fire, come detto prima, segnò l’inizio di una nuova era per la Fiat; infatti, quest’ultimo andò a sostituire i vecchi motori denominati “serie 100” costruiti dal “maestro” della scuola motoristica italiana: L’ingegner Dante Giacosa.
I motori “serie 100″ possono definirsi le ultime opere dell’ingegner Giacosa e del suo team. Essenzialmente seguivano un ideale fisso e ben preciso: 4 cilindri in linea verticale, distribuzione a catena su di un albero a camme montato nel basamento superiore, sistema di distribuzione ad aste e bilancieri e disposizione trasversale anteriore (talvolta longitudinale posteriore) della trazione.
La prima generazione di questi propulsori era il Fire 1000. Scopriamolo:
Ecco a voi qualche immagine:
In alto a sinistra il basamento superiore del motore, a destra il volano. Al centro in basso i collettori di scarico.
Senz’ombra di dubbio il peso, la semplicità, l’affidabilità, i consumi ridotti e i costi di manutenzione bassi.
Il motore venne progettato riducendo drasticamente il numero di componenti e particolari. Non a caso il propulsore, estremamente compatto, pesava all’incirca 69 kg: un risultato eccezionale.
Guardiamo i progetti:
La semplicità e i costi contenuti erano garantiti proprio dalla presenza di poche componenti costitutive e dalla loro elevata resistenza termica e meccanica. Inoltre i progettisti fecero sì che un’eventuale rottura della cinghia di distribuzione non avrebbe recato danni né alle valvole, né al cilindro. Come?
Progettarono l’apertura massima delle valvole di una corsa inferiore rispetto alla distanza tra PMS ( Punto Morto Superiore) del pistone e la camera di combustione.
I consumi ridotti vennero garantiti dalla combustione magra, cioè una miscela con un eccesso di aria rispetto al carburante. I primi modelli erano provvisti di carburatore Weber; l’iniezione arrivò in Italia nel 1989.
La prima versione Fire 1000 era di cilindrata 999 cm³ e rispetto al predecessore 903 cm³ era circa 10 kg più leggero, meno rumoroso e con una coppia motrice notevolmente migliorata. Il rendimento termico del motore, a parità di cilindrata, fu uno dei più alti di quei anni.
In foto, il sistema di accensione elettronica italiano Magneti Marelli.
Lo spinterogeno calettato direttamente sull’albero a camme riuscì ad eliminare i rinvii d’accensione, migliorando appunto il peso e la semplicità progettuale del complesso meccanico. Stesso discorso per la pompa dell’olio: il tutto venne progettato in modo tale da ridurre tutte quelle componenti di ” mezzo”, cioè che fanno da tramite.
All’insegna della filosofia minimalista: Less is More. Meno componenti, “teoricamente“, corrisponde a minor probabilità di guasti; ma queste sono solo supposizioni.
La semplicità fu favorevole anche per la distribuzione: infatti, la tempistica legata all’assemblaggio del motore calò drasticamente da 4 a 2 ore.
Il primo Fire 1000 venne montato sulla Autobianchi Y10 e successivamente su una Fiat Uno 45 intorno alla fine del ’85. Poco dopo venne prodotto il 769 cm³ e montato sulla storica e famosissima Panda 750.
Il motore oggi più comunemente utilizzato è la derivazione 1.368 cm³ aspirato, in uso su Fiat, Alfa Romeo e Lancia. Dopo l’innovazione ingegneristica del MultiAir, venne montato anche sui modelli dal 2009 in poi.
Ecco una lista aggiornata di tutti i modelli che montano il motore Fire (originale o di derivazione). La lista prende in ordine cronologico tutti i modelli con nome, data di uscita, cilindrata (da sinistra verso destra).