Spesso ci si pensa alla prestazione pura parlando di potenza del motore, aerodinamica, percorrenza in curva e accelerazione. Ma alla prima curva se non hai i freni, dove vai? Di certo non a vincere un Gran Premio. Dunque, avere un impianto frenante efficace è altrettanto importante. Volendo addentrarci nel mondo della Formula 1, creare un impianto frenante è davvero molto difficile, perché ci sono una serie di parametri da tenere in considerazione (e che approfondiremo con il proseguo dell’articolo) e anche la gestione da parte del pilota può fare la differenza tra un vincitore e un “perdente”.
Le moderne monoposto, per chi non lo sapesse, sono capaci frenare da circa 330 a 50 km/h in poco più di 100 metri e in pochissimi secondi. Chi non è allenato fisicamente, non può sopportare uno sforzo simile, poiché si raggiungono anche i 6G di decelerazione.
Talmente che è complesso l’impianto frenante, che è necessario suddividerlo in tre parti per capirne appieno il funzionamento: linea freno, disco freno e MGU-K.
In tutte le auto di qualche anno fa, e dunque anche le monoposto, il circuito frenante era di tipo idraulico. Un circuito idraulico significa che quando si va ad azionare i freni, dunque quando si pigia il pedale del freno, quello che si va a premere è una pompa posta sotto al pedale. La forza che si esercita sul pedale viene trasferita al liquido presente nei tubi dei freni che hanno come estremità opposta proprio le pinze dei freni. In base alla forza esercitata (di quanto stiamo abbassando il pedale, in pratica), la pressione del fluido è più o meno elevata. Premendo con forza il pedale, la pressione nei tubi è massima e la pastiglia va a contatto con il disco che a sua volta è fissato alla ruota. Grazie alla forza di attrito esercitata tra freno e disco, è possibile fermare il veicolo.
Questo sistema, abbastanza semplice, è stato rimpiazzato in Formula 1 con il sistema Brake-by-wire. Qui, inizia davvero la difficoltà del mestiere degli ingegneri. L’arrivo di questa nuova tecnologia deriva direttamente dall’introduzione dell’era ibrida e dunque dall’arrivo dell’ERS. Per chi non lo sapesse, con le moderne F1, è possibile recuperare energia elettrica durante le frenate che poi diventerà potenza in più, per un aumento di 160 cv. Il brake by wire consente al pilota di poter gestire la forza della frenata, indipendentemente dall’energia immagazzinata dall’ERS.
Quando il pilota va ad azionare i freni, c’è un sensore che rivela la forza esercitata e invia un segnale elettrico alla centralina, che a sua volta invia un altro segnale elettrico che mette in azione le pinze che tramite attrito con il disco, che a sua volta è collegato alla ruota, fa rallentare la monoposto.
Ora andiamo ad analizzare il secondo pezzo che c’è alla base dell’impianto frenante, il disco freno. La temperatura di questi ultimi è cruciale durante un Gran Premio e talvolta può essere determinante per la vittoria o la sconfitta in una gara.
Generalmente, si sentono due tipi di team radio durante i weekend di gara. Il primo, nelle giornate calde, è quello che avverte il surriscaldamento dei freni, mentre il secondo, ad esempio nelle giornate piovose, avverte dei dischi “congelati”, ovvero con una temperatura troppo bassa.
Abbiamo già detto che il disco, che è collegato alla ruota, rallenta grazie all’attrito esercitato dalla pinza che stringe. In Formula 1, poiché conta molto la leggerezza dei componenti, i dischi e pastiglie sono costruiti in carboresina. Tuttavia, per avere la frenata ottimale, il disco deve lavorare in un certo range di temperatura. In particolare, se la temperatura è troppo bassa, si verifica un fenomeno chiamato congelamento, ovvero è come se tra il disco e la pinza ci fosse una patina di “ghiaccio” che riduce al minimo l’attrito. La conseguenza è che appena si preme il pedale del freno, l’auto non rallenta affatto, o comunque decelera di poco.
Ecco, dunque, da dove nasce la necessità di dover scaldare gomme e freni quando i piloti sono accodati ad una Safety Car che sta per rientrare ai box. I differenti modi di gestire le temperature fanno sempre la differenza tra chi passa e chi resta indietro.
Se la temperatura è troppo alta, invece, entrambi i componenti che vanno a contatto si usurano eccessivamente, e con il passare dei giri, si può arrivare ad un vero e proprio cedimento dell’impianto frenante.
Ma perché si genera calore in fase di frenata? Quando disco e pastiglia vanno a contatto, la forza d’attrito compie del lavoro e l’energia cinetica dispersa si trasforma in calore e conseguentemente in un brusco aumento di temperature.
Quindi, quando i piloti sono in gara o semplicemente percorrono un giro, si crea un ciclo di temperature che funziona così: in fase di frenata le temperature aumentano, mentre in fase di accelerazione, l’aria entra tramite gli appositi condotti e le temperature si abbassano. Nei vari circuiti, infatti, i tecnici cambiano il numero e la grandezza dei fori sui dischi proprio per ovviare ai problemi annessi alla temperatura. In circuiti come quello di Singapore, avere tanti fori è essenziale per poter terminare la gara. Talvolta, la configurazione dei freni tra destra e sinistra è asimmetrica, dunque si usano settaggi appositi per le singole ruote. Una guida aggressiva agevola l’aumento delle temperature perché si utilizzano i freni con una maggiore pressione.
Le temperature sviluppate in fase di frenata sono prossime ai 1000 gradi, e ciò giustifica la fumata bianca che esce dalle ruote durante un pit stop. Un modo per ottimizzare l’aria che l’auto prende in velocità, è utilizzare degli appositi cestelli convogliatori.
Come ultimo pilastro portante dell’impianto frenante, parliamo della MGU-K. Abbiamo già approfondito l’argomento di questo componente, ma semplicemente descrivendo tutte le sue funzionalità. Oggi, andiamo ad analizzare la sua importanza nelle fasi di frenata.
La MGU-K, come ben saprete, è il motogeneratore che si occupa di recuperare l’energia cinetica in fase di frenata e di convertirla in energia elettrica. La corrente generata viene immagazzinata in apposite batterie. Questo componente, sebbene in piccola parte, contribuisce a fare da “freno motore” alla vettura. La centralina può capire quando si può utilizzare solo la MGU-K per frenare l’auto, o quando è necessario anche l’utilizzo dei freni a disco.
Qui entra in gioco l’abilità del pilota. Si può scegliere di avere una frenata più aggressiva e che dura meno tempo, oppure una frenata più dolce ma prolungata che consente di ricaricare maggiormente le batterie. In fase di qualifica, capita che il giro veloce, in cui si utilizza la power unit nel pieno della potenza, viene preceduta e succeduta da giri lenti. Questi ultimi consentono di ricaricare le batterie di quell’energia che dà la potenza in più durante il giro veloce.
Abbiamo finito di parlare dell’impianto frenante. Ora ci concentriamo sulla gestione della ripartizione di frenata. Iniziamo con il dire che ogni pneumatico può esercitare una certa pressione longitudinale massima in frenata, oltre la quale si innesca il bloccaggio dello stesso invece di proseguire con il moto di rotolamento.
Questo limite dipende da varie cose, tra cui dalla mescola montata e dal carico verticale che agisce sulle ruote. Per il principio di inerzia, durante la frenata, l’auto teoricamente si inclinerebbe sull’anteriore. Ciò non accade, poiché si utilizza l’antidive (di cui ne parleremo tra qualche giorno in maniera molto più approfondita) che consente proprio di non subire il ribassamento. Dunque, è più corretto parlare di un trasferimento di carico, che comporta un aumento del peso sull’asse anteriore. Per questo motivo la frenata non è distribuita al 50% sull’anteriore e altrettanto sul posteriore, ma c’è una certa differenza. Generalmente, si utilizza una ripartizione del 60% all’anteriore e 40% al posteriore, ma spesso le condizioni della pista possono consentire delle modifiche. Ad esempio, sul bagnato per non avere troppa pressione all’anteriore, che potrebbe portare ad un improvviso testacoda, si sposta la ripartizione sul posteriore. Stesso ragionamento si fa per ridurre il consumo degli pneumatici anteriori. Viceversa, se serve una frenata aggressiva, si sposta maggiormente all’anteriore.
La ripartizione della frenata viene regolata tramite apposito manettino posto sul volante, con valore annesso visualizzabile sul display. Durante i giri di qualifica, per avere le performance migliori, i piloti modificano più volte la ripartizione, in base al tipo di curva. Una ripartizione portata troppo sull’anteriore, porta ad un maggior rischio di bloccaggio delle ruote, mentre una ripartizione troppo posteriore, riduce l’efficacia della frenata e dunque aumenta lo spazio di arresto della monoposto.