Un’aerodinamica rozza ed efficiente, con un grosso propulsore sotto scocca: così veniva definita la Chaparral 2J, un concentrato di ingegneria allo stato puro. La Chaparral era una casa automobilistica americana fondata nel 1960 dagli ex piloti Jim Hall e Hap Sharp, rimase attiva sino ai primi anni ’80 (più precisamente nel 1982). Fu un vero e proprio riferimento per la tecnica automobilistica da competizione e l’aerodinamica.
I più appassionati ricorderanno questo modello che andremo ad analizzare da un punto di vista tecnico. Parliamo di una vettura unica in tutti i sensi.
L’ottica dei progettisti Chaparral era quello di anticipare le concorrenti. Mentre a Le Mans vincevano le Ferrari P1,2,3 e le ford GT40 grazie anche ad un’evoluta aerodinamica basata su appendici, ali posteriori e prese NACA, la Chaparral e la Lotus di Colin Chapman studiavano nuove soluzioni innovative svincolate dalle ali.
Nel precedente articolo sull’effetto suolo ho trattato l’importanza di una buona progettazione del corpo vettura in tutte le sue parti, specialmente quella del sottoscocca. Non bastava solo diminuire il più possibile il valore di Drag della vettura, per guadagnare secondi preziosi in zone rettilinee; ma a livello di competizioni era necessario integrare tale valore a quello di Lift (deportanza, dal gergo tecnico convenzionale anglosassone). Per aumentare lo schiacciamento del veicolo al suolo, ci si rese conto del forte effetto benefico realizzato dal sottoscocca. Come potrete benissimo leggere nell’articolo precedentemente linkato, l’effetto Venturi realizzato nella gola (in questo caso, il restringimento del canalone sottostante il corpo vettura) genera una forte depressione che aumenta la Downforce diretta verso il basso. Questa spinta è ottenuta con una legge che aumenta col quadrato della velocità dell’aria relativa al mezzo, pertanto l’effetto benefico ha maggior consistenza proprio alle alte velocità.
Da quì la brillante idea degli ingegneri: realizzare un sistema non-naturale per la creazione dell’effetto suolo.
Gli ingegneri, essenzialmente, puntavano a modellare il corpo vettura della 2J, eliminando tutti gli elementi di disturbo (ala posteriore, anteriore, appendici varie,…) per il flusso d’aria. Snellendo la carrozzeria e chiudendola in un mega blocco sigillato, si credeva di ottenere un’ottima penetrabilità della vettura nell’aria. E per la deportanza? Semplice, il loro vero marchio di fabbrica, che rese famosa la 2J in tutto il mondo.
Montarono due ventoloni da 43 cm ciascuna sul retro vettura, comandate da un piccolo motore 2 tempi indipendente da 55 CV. Queste due ventolone, come una vera e propria aspirapolvere domestica, aspiravano aria dal fondo vettura e la soffiavano via dal retro. L’aspirazione dell’aria crea una zona a bassa pressione che aumenta, seppur in modo artificiale, la deportanza. Lo schiacciamento portava ad una riduzione dell’altezza dal suolo, per questo motivo vennero adottate minigonne in plastica. Unendo quest’ultime alla regolazione idraulica dell’assetto, si manteneva sempre la stessa h ottimale di altezza dal suolo di circa 1 pollice ( 2.54 cm).
La propulsione era affidata ad un imponente V8 Chevy in alluminio da 700 CV. La scelta dell’alluminio rispetto all’acciaio non era casuale. Si volle bilanciare il peso della vettura nel miglior modo possibile, essendoci un elemento aggiuntivo (motore+ventole) nel retrotreno.
Essenzialmente, a differenza di un sottoscocca ben progettato, la 2J era in grado di schiacciare al suolo la vettura anche da ferma. Appare chiaro, quindi, che a differenza di tutta l’aerodinamica affrontata finora, l’effetto deportante, in questo caso, è svincolato dalla velocità (quadrato della velocità) dell’aria.
Non a caso nella stagione 1970 della Can Am, riuscì a demolire la concorrenza sul giro nell’ordine di secondi. Tuttavia, l’elevata difficoltà da un punto di vista organico di conciliare il doppio motore, portò a numerosi guasti tecnici.
La stagione successiva bandì definitivamente la 2J per due motivi:
Non fu l’unica. Anche Brabham si rese conto dell’innovazione e montò una tecnologia analoga sulla sua famosissima BT46B nel campionato formula1. Inutile dire che venne bandita non appena vinse il gran premio successivo (Svezia 1978).