Normalmente, quando pensiamo all’impianto frenante, immaginiamo il gruppo (pinza, dischi e pastiglie freno) posizionati sui montanti ruota. Tuttavia, in passato era moderatamente utilizzata la soluzione chiamata “in-board“. Essa consiste sul posizionare i freni internamente al veicolo, più precisamente a monte dei semiassi collegati al mozzo ruota: che trasferiscono potenza alle ruote.
La storia di questa soluzione ingegneristica ci aiuterà a capire qual è stata l’esigenza di quei tempi e quali vantaggi offre uno schema cinematico del genere.
La famosissima 2CV della Citroën, ad esempio, monta questa soluzione. Le francesi hanno sposato questa soluzione per via del particolare schema sospensivo adottato in quei anni. Senza approfondire più del dovuto l’argomento, vi era un unico braccio longitudinale con centro di istantanea rotazione arretrato rispetto alle ruote anteriori. La scelta dei freni in-board, in questo caso, teneva conto della coppia frenante applicata dai tamburi in fase di frenata e dal fatto che si ottenesse un sollevamento dell’anteriore (o meglio dire della carrozzeria) perché la Cf (coppia frenante) si scaricava tutta sul braccio in questione.
In alcuni modelli di Alfa, vale a dire Alfa Sud (1972) e Alfetta, i freni in-board servivano essenzialmente per migliorare la dinamica dello pneumatico, andando a ridurre le masse non sospese e migliorando la continuità nel contatto tra asfalto e pneumatico. Inoltre si voleva evitare che, con la presenza di tamburi sul montante ruota, si avesse un affondamento del muso in fase di frenata.
NON è questo il caso, tuttavia l’abbassamento fino ad un valore critico di altezza suolo nella parte anteriore del veicolo, può portare nel caso di vetture dotate di ala anteriore, alla fase di stallo dell’ala stessa con un crollo dell’effetto deportante e un’aumento di resistenza (di natura indotta) per via del fatto che ho linee di flusso che si allontanano rapidamente dal corpo investito, si creano vortici a moderata consistenza e quindi resistenza indotta. Ciò aumenta complessivamente il Cd (o CX di aerodinamicità) del veicolo. E’ sempre utile unire l’aspetto dinamico con quello aerodinamico, in quanto solo in questo modo posso ottenere una stima effettiva sul comportamento del veicolo.
E’ quindi utile tener conto di quest’altezza e far si che venga progettata e mantenuta più uniforme possibile nel tempo.
Per un certo periodo la soluzione è stata sperimentata anche nel mondo delle corse, in Formula 1. Tuttavia, come al solito i regolamenti sempre più stringenti ne hanno vietato l’uso.
L’idea fu adottata anche dalla Alfa Romeo 75, McLaren M23 al posteriore (in foto), Lotus Esprit (1980) e dall’Hummer H1.
Dopo aver capito chi e perché ha scelto questa soluzione, passiamo ad analizzarne i principali aspetti positivi.
Come ho ribadito anche precedentemente, collocare all’interno i freni della vettura porta a ridurre le masse non sospese, cioè quelle masse “appese” al montante ruota, che si muovono essenzialmente di moto traslatorio verticale assieme alla ruota. Ciò crea essenzialmente una maggiore inerzia per la ruota, andando a compromettere il comfort di guida e la stabilità del veicolo stesso a livello di forze scambiate tra pneumatico e suolo stesso.
Interessante è osservare questo plot, fornito dall’Ingegner Tentarelli (2018). Notiamo come una riduzione delle masse non sospese, riduca notevolmente la variazione di carico espresso nel tempo sulla ruota in direzione verticale. Riducendo la variazione, diminuirà tuttavia anche la fluttuazione nel valore di forza verticale in questione (scambio suolo-pnumatico).
La riduzione della sollecitazione impressa sui componenti di struttura dell’intera sospensione è dimostrabile con un semplificato equilibrio di corpo libero sul braccetto. Nel caso in cui i freni fossero Out-board (caso convenzionale), la coppia frenante e di conseguenza la forza frenante tra pneumatico e asfalto sarebbe orizzontale e tangente al punto di contratto tra asfalto e pneumatico stesso. La sua posizione aumenterebbe l’entità della coppia (o forza) espressa sugli estremi del braccetto.
Se invece si pensasse di posizionare i freni direttamente a valle del differenziale, l’azione frenante avrebbe direzione d’azione non più nel punto di contatto con il suolo, ma all’altezza del centro ruota. Questo perché l’azione frenante proviene direttamente dal semiasse. Basti notare come in figura la distribuzione di forze, complessivamente, migliora sul braccetto AB (supposto perfettamente verticale). Nel caso reale avremmo un cos(θ) nella trattazione, tuttavia questo non varia il concetto alla base. La reazione frenante di un freno inboard riduce le sollecitazioni impresse sull’intero braccetto.
Dimensionare un idoneo impianto frenante, posizionarlo nel giusto modo sul montante ruota senza incidere negativamente sulla dinamica dell’intera sospensione e incastonare un insieme di elementi di supporto (mozzo ruota, mozzo semiasse, cuscinetto ruota, asse sterzante nel caso in cui lo fosse), può essere molto difficoltoso. Molte case automobilistiche ricorrono ad architetture sospensive classiche, dimensionamenti corroborati negli anni, tuttavia non è semplice un approccio da zero in questi casi.
Nel prossimo articolo, approfondirò quelli che sono i difetti che sostanzialmente ne hanno compromesso lo sviluppo negli anni, portando ad un definitivo abbandono. Secondo voi, basteranno questi difetti per tornare al convenzionale schema out-board, oppure sarà possibile migliorare in futuro questa idea? Continuate a seguirci per la seconda parte.