Alfa Romeo Diva Concept: la via di mezzo tra la 4C e 8C che non fu mai prodotta
Ricordi la prima volta che hai messo gli occhi sull’Alfa Romeo 33 Stradale? Il modo in cui la sua bellezza seducente ha catturato la tua attenzione e l’ha trattenuta per interi minuti, anche attraverso una semplice fotografia? Franco Scaglione ha giocato un colpo da maestro con quella macchina. Restiamo, dunque, a chiederci perché l’Alfa Romeo non abbia mai dato a “Sua maestà” un’auto che evocasse almeno lo spirito estetico e concettuale della leggendaria 33 Stradale. In realtà, qualcosa c’è stata, ma è rimasta solo un prototipo. Si chiama Alfa Romeo Diva, un prototipo che non ha mai visto la produzione.
La Alfa Romeo Diva è il risultato di una collaborazione tra il Centro Stile Alfa Romeo e la famosa scuola di design automobilistico Espera di Franco Sbarro in Francia. Quest’ultimo è un luogo in cui i giovani studenti vanno per imparare i fondamenti del design automobilistico prima di essere incoraggiati a scatenarsi con la loro immaginazione e costruire effettivamente le auto dei loro sogni.
La Diva può essere considerata una moderna interpretazione della 33 Stradale. Quel tozzo e deciso, quelle proporzioni piccole ma voluminose (è più corta di una Fiat Punto) e le porte ad ali di gabbiano i cui finestrini si chiudono sul tetto hanno un nonsoché di poetico. Descritta come avente un “abitacolo di Formula 1” quando fu mostrata al pubblico, il diffusore anteriore a due piani assomiglia un po’ al muso della 750 Competizione disegnata da Boano nel 1955. Salvo per i cerchi datati, gli specchietti retrovisori attaccati sul montante e interni corposi, pensiamo che il design sarebbe ancora tutt’oggi moderno. Potrebbe essere definita la “nonna” della moderna Alfa Romeo 4C.
La storia dell’Alfa Romeo Diva
Quest’auto non ha ottenuto grandi elogi al Salone di Ginevra del 2006, dove è stata rivelata. La Diva, però, ha rappresentato un banco di prova per molte innovazioni tecnologiche e metodi di produzione convenienti che diamo per scontati oggi. Sotto quei pannelli di carrozzeria curvilinei c’erano un telaio 159 fortemente modificato e rinforzato con fibra di carbonio, sistemi di sospensione e freno che erano regolabili elettronicamente e un motore Busso V6 da 3,6 litri che, grazie a un nuovo sistema di scarico intelligente e un cambio semi-automatico a sei velocità Selespeed, erogava 290 CV consentendo uno scatto 0-100 km/h in 5 secondi.
Ma proprio per il motore sono sorti i primi problemi. Per quanto potente fosse il “Busso”, era troppo vecchio per soddisfare qualsiasi moderno standard di omologazione e troppo pesante per dare alla Diva le prestazioni che meritava davvero. Gli ingegneri cercavano un peso a vuoto di 900 kg, ma in realtà l’auto raggiungeva circa i 1100 kg. La 33 Stradale, invece, pesava addirittura 700 kg. Fu così, che quel fantastico prototipo non fu mai prodotto su una vera catena di montaggio. È triste, certe volte, come delle auto geniali, in realtà non prendano vita.