Ferrari 312 T, la monoposto del primo titolo di Niki Lauda
La Ferrari 312 T è la monoposto con la quale la Scuderia partecipò al Campionato Mondiale di Formula 1 del 1975, che permise di riportare titolo Costruttori e titolo Piloti a Maranello dopo 11 anni. L’impresa fu solo sfiorata l’anno precedente: Clay Regazzoni infatti perse il titolo per soli tre punti a favore di Emerson Fittipaldi, pilota della McLaren.
Ma per la stagione 1975 la Ferrari progettò una monoposto che andava a differenziarsi in maniera importante dalla progenitrice 312 B3-74 (che corse però anche le prime due gare della stagione 1975). Vediamo come.
Telaio: ritorno alle origini
Mauro Forghieri rientrò nel 1974 in Ferrari dopo la temporanea dipartita del 1973 (dovuta a dissapori con l’ingegner Colombo), e operò una vera e propria rivoluzione tecnica in vista della stagione 1975.
Il primo cambiamento importante fu a livello di telaio. Infatti per la 312 B3 (che corse nei campionati del 1973 e del 1974) la realizzazione del telaio, ritenuto in un certo senso responsabile degli scarsi risultati che stava ottenendo in quegli anni la Ferrari, venne affidata a uno specialista britannico di nome John Thompson. I risultati, fino al ritorno di Forghieri, furono mediocri, a dimostrazione del fatto che il problema delle monoposto del Cavallino non stava certo nel telaio.
Per il 1975 vi fu quindi un ritorno alle origini, con un telaio monoscocca avente struttura in traliccio di tubi e rivestita di pannelli di alluminio a fare da base alla Ferrari 312 T. Questo veniva prodotto a Maranello ed era anche più facilmente modificabile rispetto al telaio inglese.
Lo schema sospensivo fu soggetto a qualche cambiamento: come potete osservare nell’immagine sottostante, si passò a uno schema a doppio triangolo con i due ammortizzatori inclinati e non più verticali.
La 312 T, grazie a queste modifiche e a un passo abbastanza corto (2,518 metri), risultava una vettura agile e facile da guidare.
L’impianto frenante prevedeva quattro dischi, di cui quelli posteriori posizionati entrobordo, e pinze della Lockheed. I freni anteriori venivano invece raffreddati con delle vistose prese d’aria dinamiche.
Propulsore
Il motore della 312 T era una ulteriore evoluzione del Ferrari Tipo 001 che debuttò nel 1970 e fu usato, con varie evoluzioni fino al 1980. Quello che spingeva la 312 T era il Tipo 015, dotato di alcune modifiche atte a rendere l’erogazione della potenza meno brusca e a dargli maggiore elasticità, oltre che a renderlo più affidabile. Questo era un aspetto cruciale perché, malgrado Ferrari avesse il motore più potente, spesso incappava in ritiri per problemi di affidabilità.
Questo propulsore era un V12 con una V di 180°, e per questo motivo era denominato V12 piatto, ma non era un boxer, come precisava il suo inventore Mauro Forghieri:
Non chiamatelo boxer. Tecnicamente è più giusto dire che è un 12 cilindri “piatto”. O se volete un 12 cilindri con le bancate a V di 180 gradi. La differenza è che le bielle (corrispondenti, NdA) di ogni bancata sono sullo stesso perno, quindi i pistoni si muovono nella stessa direzione, mentre nei boxer propriamente detti, come il Porsche per esempio, si muovono l’uno contro l’altro.
Mauro Forghieri
Questo motore erogava ben 495 CV a 12.500 giri/minuto. Era però necessario ottimizzarne il funzionamento ai bassi regimi, dove perdeva nei confronti dell’utilizzatissimo V8 Cosworth. Per questo motivo Forghieri ridisegnò le testate, in modo da aumentare il rapporto di compressione fino a 11.5:1. L’architettura del V12 piatto, abbinato dal 1975 al cambio trasversale a 5 rapporti, consentiva un abbassamento del baricentro, obiettivo su cui Forghieri lavorava da qualche anno.
Cambio trasversale per una distribuzione delle masse ottimale
Come accennato, la vera rivoluzione fu relativa alla decisione di posizionare il cambio trasversalmente rispetto all’asse posteriore (da cui la T del nome della monoposto): questo consentì una importante riduzione dei momenti polari di inerzia e quindi una distribuzione dei pesi ottimale. Il nuovo cambio era costruito in fusione di magnesio e oltre a migliorare la già citata distribuzione dei pesi, era facilmente riparabile. Inoltre, includeva un differenziale autobloccante lamellare; la frizione era del tipo multidisco a secco della Borg & Beck. Il risultato finale fu un cambio più compatto, dalle ottime funzionalità, ed affidabile.
A una migliore distribuzione delle masse diede un contributo anche la realizzazione di tre serbatoi per il carburante (per una capacità totale di 200 litri) anziché uno unico.
Le gomme Goodyear e la pignoleria di Niki Lauda
La vettura utilizzava pneumatici della statunitense Goodyear, e a tal proposito riportiamo un simpatico aneddoto raccontato da Clay Regazzoni, che non riusciva a competere con Niki Lauda nelle qualificazioni (con quest’ultimo che collezionò nel 1975 ben 9 pole position):
“Non avete idea di quante volte mi sia arrovellato il cervello per capire cosa avesse Niki in più di me in prova perché poi il nostro passo in corsa si equivaleva, quando anzi non ero io a recuperare su Lauda. Una risposta al mio quesito l’ho avuta solo qualche anno dopo, parlando con dei tecnici della Goodyear. Nel 1975 le gomme erano tutte prodotte a mano: mi ricordo che il comportamento della monoposto cambiava molto da un set all’altro e non riuscivo a capire perché. Essendo fatte a mano le coperture non erano mai uguali una all’altra, avevano circonferenze diverse di alcuni centimetri. Niki l’aveva capito e si era informato ad Akron su chi fosse l’operaio specializzato più capace nella produzione delle coperture di F.1. Ogni operaio marchiava le gomme con una sua sigla, per cui erano “riconoscibili”. Lauda aveva avuto l’intuizione che per partire in pole era necessario mettere insieme il miglior treno di pneumatici possibile e se lo faceva mettere da parte. Geniale! Io mi limitavo a cercare di andare più forte possibile in pista, lui invece, aveva una visione molto più ampia di cosa volesse dire vincere un Gran Premio…” (fonte)
Aerodinamica figlia della galleria del vento
L’aerodinamica della Ferrari 312 T era particolarmente curata, anche grazie all’utilizzo della galleria del vento della Fiat, e il suo studio era direttamente correlato anche alla disposizione delle componenti meccaniche della monoposto. Si pensi alle prese dinamiche dei frani, o al posizionamento dei radiatori, più avanzati e praticamente a ridosso delle ruote anteriori (a favore di uno smaltimento del calore ottimale).
Alcuni componenti interni, come i radiatori dell’olio motore e del cambio, furono riposizionati per avere una maggiore efficienza aerodinamica. Basti vedere i radiatori dell’olio collocati in prossimità delle ruote posteriori, appena davanti.
La forma della monoposto era a freccia, come le progenitrici. Sia l’ala anteriore che l’ala posteriore avevano un profilo a freccia, che fece presto scuola tra le concorrenti.
Molto particolare era poi la presa d’aria per il raffreddamento del motore, molto alta e stretta, simile a quella della 312 B3-74 ma ancora più curata. Questa soluzione non si vide più sull’evoluzione della 312 T, la 312 T2, per via di cambiamenti regolamentari che la resero illegale.
La carriera della Ferrari 312 T
La Ferrari 312 T risulta essere una delle monoposto più vincenti portate in pista dalla Scuderia, forte delle 9 vittorie conseguite in 15 gare disputate. Delle 9 vittorie, 6 arrivarono nel 1975 e 3 nel 1976, prima di fare posto alla 312 T2.
Esordì solo in occasione della terza gara del mondiale, il GP del Sudafrica. Nei suoi 15 gran premi disputati ha ottenuto, oltre alle 9 vittorie, 10 pole position e 6 giri veloci. Questi risultati riportarono i titoli Piloti e Costruttori a Maranello dopo ben 11 anni.
Niki Lauda si laureò matematicamente Campione del Mondo in occasione del Gran Premio d’Italia, penultimo appuntamento della stagione. Gli bastò un terzo posto, alle spalle del vincitore e compagno di squadra Clay Regazzoni e del campione del mondo in carica Emerson Fittipaldi.