Articola a cura di Axel Baruscotti – Vi siete mai chiesti come gli ingegneri riescano a scegliere il materiale più adatto per ogni applicazione fra migliaia di alternative a loro disposizione? Qui impareremo a mettere a nudo l’identità dei materiali partendo da semplici prove meccaniche, come la prova a trazione, proprio come farebbe un ingegnere.
Durante la fase di progettazione di un qualsiasi componente meccanico, uno dei compiti più importanti di un ingegnere è quello di scegliere il giusto materiale fra una miriade di opzioni a disposizione. Questo non è affatto un compito scontato, tant’è vero che sono presenti interi corsi di laurea dedicati allo studio e alla caratterizzazione delle proprietà dei materiali. Ogni componente che si progetta possiede delle necessità peculiari, le quali possono essere ad esempio la capacità di operare a temperature proibitive, sostenere una sollecitazione variabile nel tempo oppure l’esigenza di assorbire ingenti quantità di energia, solo per citarne alcune.
Per questo spesso il limite ultimo di una determinata tecnologia risulta essere il materiale stesso piuttosto che la progettazione in sé. Un esempio di ciò è la deformazione dovuta alle elevate temperature a cui è soggetta la paletta di una turbina di un motore a gas, come quelli dei jet per voli commerciali per intenderci. Infatti, ogni volta che atterrate sani e salvi al termine del vostro volo è anche grazie alle superleghe di cui sono fatte le palette delle turbine dell’aereo, le quali riescono a contenere la loro deformazione anche alle severe condizioni in cui operano, permettendo così al motore di non andare in mille pezzi con uno spiacevole finale per i passeggeri dell’aereo.
Esistono svariate tipologie di prove meccaniche più o meno specifiche a seconda della proprietà del materiale che si vuole caratterizzare. Tuttavia ne esiste una di fondamentale importanza che ci permette di svelare molte delle proprietà più importanti del materiale in esame: la prova a trazione. In questo tipo di prova, usata soprattutto sui metalli e loro leghe, un provino del materiale che deve essere testato viene sottoposto ad un carico monoassiale di trazione da un macchinario apposito.
Man mano che la prova procede, il materiale si deforma e viene registrata la deformazione in relazione allo sforzo a cui il provino è sottoposto fino ad arrivare alla sua rottura, dopodiché la prova può considerarsi terminata. Da questo test si ottiene il diagramma sforzo-deformazione della lega, il quale rappresenta sostanzialmente la “prova del DNA” del materiale. Spesso infatti si fa uso di tale metodologia di caratterizzazione per individuare il materiale di un componente di cui non si possiedono informazioni dettagliate.
Il diagramma sforzo-deformazione rappresenta lo sforzo σ (forza di trazione divisa per la sezione iniziale del provino che si sta testando) con cui il materiale viene tirato in funzione della deformazione ε (allungamento percentuale del provino rispetto alla sua lunghezza iniziale). Ma cosa ci può dire sul comportamento meccanico di una lega metallica questo diagramma?
La prima cosa che salta all’occhio è che esistono due regioni separate del grafico σ-ε, una prima parte lineare e una seconda non-lineare. Questo fatto è molto interessante, perché ci dice che le leghe metalliche si comportano in due modi diversi a seconda dello sforzo a cui sono sottoposte. La prima parte lineare è nota come regione elastica, qui il materiale si comporta un po’ come una molla, ossia si deforma sotto l’azione di una forza per poi ritornare alla sua forma originale una volta che questa viene rimossa. La seconda parte non-lineare viene detta regione plastica, in cui il materiale viene deformato permanentemente dalla forza; ciò significa che una volta rimossa la sollecitazione il materiale non è più in grado di tornare alla sua forma originale.
Se non siete convinti di ciò, provate voi stessi prendendo una forcina per capelli e applicate una leggera forza con le dita per poi rimuoverla. Se la forza non è sufficiente a plasticizzare la forcina, allora essa tornerà alla sua forma originale, mentre se la forza sarà sufficiente a plasticizzarla allora non avrete più una forcina per capelli, ma un inutile pezzo di metallo deformato.
La cosa più interessante del regime plastico è che, come si vede dalla curva, più il materiale viene deformato e più questi si rafforza. Questo fenomeno di rafforzamento, detto incrudimento, viene ampiamente sfruttato nel campo dell’ingegneria per rafforzare i componenti meccanici come, ad esempio, ruote dentate o alberi. Lo spartiacque fra regione elastica e regione plastica è detto carico di snervamento σy, il quale rappresenta l’intensità dello sforzo per cui si ha la transizione fra il comportamento elastico, simile ad una molla, e il comportamento plastico che determina appunto una deformazione permanente.
Nella maggior parte dei casi, quando si progetta un componente meccanico, si fa in modo che tale valore non venga mai raggiunto. Non a tutti infatti farebbe piacere se la vostra nuova chiave inglese appena comprata si deformasse con il primo bullone che stringete! Tuttavia, come vedremo più avanti, ci sono alcune applicazioni per cui la deformazione plastica è auspicabile o proprio voluta.
All’interno della regione elastica, il parametro più importante che può essere estrapolato è il modulo elastico E, detto anche modulo di Young, il quale è rappresentato dalla pendenza della curva lineare. Il modulo elastico può essere considerato una misura di quanto il materiale in questione sia “rigido”, quindi quanto sia abile a resistere alla deformazione anche sotto carichi elevati.
Per fare un esempio, il modulo elastico degli acciai è generalmente intorno ai 210 GPa, mentre quello delle leghe di alluminio è intorno ai 70 GPa, ben tre volte inferiore. Questo è uno dei motivi per cui non troverete facilmente un albero motore in lega di alluminio, dal momento che l’ultima cosa che vorreste mentre guidate la macchina a 130 km/h in autostrada è che l’albero motore si deformi eccessivamente.
La tenacità del materiale può essere calcolata direttamente facendo l’integrale del diagramma sforzo- deformazione. Per chi non ha idea di cosa sia un integrale, pensate che più ampia è l’area compresa fra la curva e l’asse ε e maggiore è la tenacità della nostra lega metallica. Questo parametro non è altro che un’indicazione della capacità di assorbimento energetico del materiale, o più precisamente, l’energia per unità di volume che il materiale assorbe durante la sua deformazione.
I cosiddetti materiali duttili, come le leghe d’alluminio, presentano una regione plastica molto grande e di conseguenza sono capaci di assorbire grandi quantitativi di energia deformandosi. I materiali fragili, per contro, possiedono una piccolissima regione plastica e perciò non sono in grado di assorbire grandi quantitativi di energia, pensate per esempio alla ghisa o al vetro. Per quanto fiduciosi siate non riuscirete mai a deformare una barra di vetro senza romperla praticamente prima ancora di vedere una sua minima deformazione permanente, mentre lo stesso non vale per la nostra forcina dei capelli giusto? Questa capacità di assorbire l’energia da parte dei materiali viene utilizzata per esempio nel campo della sicurezza stradale. Infatti alcune parti della scocca delle macchine moderne sono progettate in modo da deformarsi in modo selettivo ed assorbire quanta più energia possibile dell’urto in seguito ad un incidente.