La corda da arrampicata dinamica e il modello dell’arrampicatore cadente: la meccanica al servizio dello sport
Articolo a cura di Axel Baruscotti – In questi ultimi anni l’arrampicata è diventata uno sport sempre più diffuso e accessibile a tutti, questo anche grazie alle innovazioni in termini di dispositivi di protezione. Analizziamo la meccanica che si cela dietro l’arresto di una caduta per mezzo di una corda da arrampicata dinamica.
L’importanza della corda da arrampicata nella “catena di assicurazione”
Chi pratica l’arrampicata sa bene che la corda possiede un ruolo centrale per la sicurezza dell’arrampicatore, tant’è vero che nella storia dell’alpinismo è il dispositivo che, probabilmente, ha subito il più grande upgrade tecnologico. Basti pensare che ai tempi d’oro dei grandi alpinisti come Walter Bonatti le corde erano fatte in canapa e chi arrampicava da primo di cordata sapeva di essere praticamente spacciato in caso di una grave caduta. Oggi, grazie alle innovazioni tecnologiche nei materiali e nei processi di produzione, possiamo svolgere questa attività all’aria aperta con un po’ più di tranquillità nei confronti dell’affidabilità della nostra corda da arrampicata.
La corda fa parte della cosiddetta “catena di assicurazione”. In gergo alpinistico quindi indica quell’insieme di elementi che contribuiscono a garantire la sicurezza degli arrampicatori durante una scalata, come ad esempio moschettoni, freni e ancoraggi. Essendo un dispositivo di protezione individuale, la sua produzione è severamente regolata dalla norma europea CE EN 892, la quale descrive dettagliatamente la metodologia di verifica e i requisiti minimi di sicurezza che deve garantire. Infatti, ogni corda da arrampicata deve superare i test previsti dalla norma prima di poter essere venduta nei negozi.
La prova di caduta per corda da arrampicata dinamica
La norma europea che abbiamo citato in precedenza prevede una prova specifica per l’arresto di caduta in caso di corde dinamiche, ossia corde che sono in grado di deformarsi elasticamente per assorbire l’energia dell’arrampicatore. Dobbiamo specificare il termine “corde dinamiche”, perché esistono anche delle corde statiche, le quali hanno altri utilizzi in ambito alpinistico e non sono adatte per proteggere l’arrampicatore in caso di caduta.
Per questa prova una massa da 80 kg, volta a simulare il corpo dell’arrampicatore, viene legata alla corda da testare, la quale viene a sua volta fissata ad un ancoraggio. Successivamente la massa viene fatta cadere da un’altezza prefissata e viene misurata la forza d’arresto di picco che in caso di corde singole non deve superare i 12kN. Questo limite è dovuto ad una ricerca condotta dalla U.S. Air Force, secondo cui la massima forza di decelerazione che il corpo umano può sopportare prima di subire gravi danni corrisponde appunto a 12000 N. Per darvi un’idea di quanto siano 12000 N, sappiate che corrisponde all’incirca alla forza peso che esercita una FIAT Punto in virtù della sua massa!
Il fattore di caduta nell’arrampicata
Quando si parla di cadute in arrampicata si sente spesso parlare del fattore di caduta, ma cos’è e da dove nasce la necessità di definire tale parametro? La risposta non è così scontata, ma risulterà evidente una volta che avremo analizzato matematicamente il problema. Per adesso vi basti sapere che se durante l’arresto della caduta si assume la totale conversione di energia cinetica dell’arrampicatore in energia potenziale elastica per mezzo della corda, allora la severità della caduta dipende unicamente dal fattore di caduta, ossia il rapporto fra la quota persa dall’arrampicatore e la lunghezza dello spezzone di corda che partecipa all’arresto di quest’ultimo.
Dalla definizione appena data possiamo capire che il fattore di caduta in arrampicata varia da un minimo di 0, nel caso poco rilevante in cui non ci sia proprio una caduta, ad un massimo di 2, quando l’arrampicatore cade di due volte la lunghezza dello spezzone di corda di interesse. Perciò, contrariamente a quello che si potrebbe pensare in un primo momento, la gravità di una caduta in arrampicata non dipende semplicemente dall’altezza da cui cadete!
Il modello meccanico dell’arrampicatore cadente
Prima di presentare il fondamento matematico di questo modello è bene fare alcune precisazioni iniziali per capire meglio il contesto del problema. Nel nostro caso consideriamo l’eventualità peggiore possibile in cui la corda è bloccata sull’ultimo ancoraggio posizionato dall’arrampicatore, cioè l’ultimo “rinvio” nel gergo di chi pratica lo sport. Questo caso capita raramente nell’attività dell’arrampicata, tuttavia può succedere se la corda viene “rinviata” male, oppure nel caso in cui ci si trovi in “sosta”.
Come detto, una caduta in queste condizioni non accade di frequente e perciò nella norma l’energia cinetica dell’arrampicatore non viene assorbita solo dall’allungamento dell’ultimo spezzone di corda, ma da una porzione maggiore di essa; inoltre, buona parte dell’energia viene dissipata dall’azione dell’attrito fra l’attrezzatura di sicurezza (rinvii, freni, moschettoni…) e la corda. Per di più, nel calcolo della quota persa dell’arrampicatore ignoreremo il termine di allungamento della corda, in quanto questo risulta secondario rispetto alla caduta vera e propria.
Nel nostro modello, l’energia potenziale gravitazionale dell’arrampicatore viene assorbita totalmente dall’allungamento della corda, la quale esercitando una forza su quest’ultimo lo decelera fino all’arresto della caduta per cui si ha la forza d’arresto di picco. Di conseguenza stiamo trattando un sistema ideale senza dissipazione di energia alcuna per attrito, ma credetemi, nonostante possa sembrare di stare semplificando eccessivamente il problema, i risultati del modello sono molto incoraggianti.
Da qui in poi si passa alla parte più tecnica, ma non preoccupatevi se non siete interessati alla fisica del problema, alla fine ci sarà un esempio di calcolo che mostrerà i risultati per alcune corde di uso comune.
Si parte dall’uguaglianza fra l’energia potenziale persa dall’arrampicatore e l’energia potenziale elastica immagazzinata dalla corda.
Modellando la corda come una molla di trazione con una relazione lineare del tipo F = K Δl, dove K è la rigidezza della corda, e svolgendo alcuni passaggi semplici algebrici si ottiene la forza di arresto di picco per la caduta.
Siccome stiamo assumendo che la corda si comporti come una barra sottoposta a trazione, la sua rigidezza è data da K = EA/l, dove E è il modulo elastico della corda e A la sua sezione. Perciò la forza di arresto di picco sarà la seguente.
Da quest’ultima equazione si capisce il perché del fattore di caduta f = Δh/l. Infatti si vede matematicamente che la forza di arresto di picco dipende unicamente – a parità di caratteristiche meccaniche – dal rapporto fra la quota persa dall’arrampicatore e lo spezzone di corda che è in grado di deformarsi.
Esempio di calcolo per quattro corde commerciali
Utilizzando l’equazione che abbiamo appena derivato per la forza di arresto di picco Fmax, possiamo calcolare le prestazioni di alcune corde commerciali partendo dai risultati delle prove di caduta pubblicati dai venditori. Infatti, per poter calcolare il modulo elastico E della corda possiamo utilizzare la relazione fra sforzo σ e deformazione ε in campo elastico σ = Eε e siccome i rivenditori comunicano l’allungamento percentuale della corda in relazione alla massima forza di arresto, siamo in grado di ottenere il modulo elastico della corda da queste informazioni.
Nel nostro esempio di calcolo consideriamo quattro corde singole di noti marchi per attrezzatura da montagna: Salewa®, Mammut®, Beal® e Petzl®.
I risultati ottenuti tramite il modello teorico sono molto vicini a quelli ottenuti dai test sperimentali effettuati dalle case produttrici delle corde. Infatti è presente un errore di calcolo in eccesso compreso fra 4% e 8% sulla forza di arresto di picco per un fattore di caduta di 2. Non male come risultato dal momento che il modello semplifica molto la complessa fisica della caduta. Inoltre, tenete presente che in ingegneria, soprattutto in meccanica, è buona norma tenere un abbondante margine di sicurezza quando si parla di componenti critici come la nostra corda da arrampicata, perciò sovrastimare la forza di arresto in questo caso è addirittura preferibile.
Gli stessi risultati sulla severità dell’arresto della caduta possono essere presentati in termini di decelerazione, i quali sono proposti per una massa di 80 kg nel diagramma che segue.
Nel momento in cui la corda arresta la caduta dell’arrampicatore, come detto in precedenza, essa esercita una forza su quest’ultimo, di conseguenza l’arrampicatore subisce una decelerazione in virtù della propria massa come prevede la seconda legge della dinamica. Questa decelerazione può essere espressa in g, ossia un multiplo dell’accelerazione gravitazionale a cui siamo soggetti tutti i giorni qui sulla terra. Per darvi un’idea, 10 g corrispondono a dieci volte la normale accelerazione terrestre (1 g = 9,81 m/s2), provate ad immaginare la sensazione di pesare dieci volte tanto il vostro normale peso! Come possiamo vedere dal grafico, le decelerazioni garantite dalle corde sono tutte al di sotto del tetto massimo dei 15 g, valore per cui riportereste ferite gravi in caso di caduta.
Nonostante le prove previste dalle norme europee siano tutte sperimentali, questo tipo di modello risulta utile per capire la complessità che si cela dietro ad un fenomeno meccanico, come quello dell’arrampicatore cadente, che a prima vista può sembrare banale. Oltretutto, un modello del genere potrebbe risultare utile anche in una prima fase di design del prodotto. Questo lo sanno bene gli ingegneri, perché prima di costruire un prototipo è bene avere un modello analitico in grado di prevedere, anche in modo grossolano, il comportamento teorico del componente. Perciò arrampicate pure senza pensieri, perché alla vostra sicurezza ci pensa la meccanica!