Il 16 agosto 1992 la Ferrari festeggiava, in sordina, il Gran Premio numero 500 in Formula 1: Ivan Capelli, che da lì a poco sarebbe stato licenziato e sostituito da Nicola Larini, chiuse sesto in Ungheria, doppiato da Ayrton Senna, vincitore della gara. Fu la gara che incoronò Nigel Mansell campione del mondo a bordo della stratosferica Williams-Renault, unico titolo iridato per il “Leone d’Inghilterra”.
Nel 1992 c’era anche Michael Schumacher, al suo primo anno “completo” alla Benetton Ford dopo gli assaggi di Formula 1 dell’anno precedente, tra Jordan e la scuderia italiana. Il tedesco chiuse quarto in qualifica, per poi ritirarsi in gara per la rottura dell’alettone. Chissà se immaginava che sarebbe stato il protagonista di altri due gran premi “centenari” della Ferrari, il 600 nel 1998 e il 700 nel 2004, entrambi a Spa.
Alla vigilia del GP Toscana Ferrari 1000, che celebrerà l’epopea di Maranello nella Formula 1, nonostante le aspettative siano bassissime ed i pronostici contrari come dimostrano le quote di tutti i siti di poker e scommesse online, c’è tanto orgoglio di essere ferraristi. E di aver vissuto due gare a loro modo indimenticabili. La seconda, nel 2004, consegnò a Schumacher il quinto titolo mondiale di fila alla guida della Ferrari, il settimo personale, nonostante il secondo posto in gara dietro Raikkonen (il fil rouge è evidente). Un dominio incontrastato, quasi imbarazzante. E allora andiamo a ripercorrere un altro Gran Premio, il 600 della rossa, che, regalò una quantità infinita di emozioni. E tanta delusione.
Mika Hakkinen, su McLaren Mercedes, 77 punti, Michael Schumacher, al terzo anno in Ferrari e alla ricerca del suo terzo titolo iridato, 70 punti: è questa la situazione in classifica il 30 agosto 1998, quando si disputò un Gran Premio del Belgio epico.
Spa riesce a regalare emozioni uniche a tifosi e piloti e, complice la pioggia che spesso scombussola i piani sulla pista belga, quell’anno fu teatro di una gara a dir poco rocambolesca. Caratterizzata anche da due partenze.
Sì, perché dopo le qualifiche che avevano visto prevalere nettamente le due McLaren (prima fila Hakkinen-Coulthard, Schumi quarto a quasi un secondo e mezzo) la partenza rimescolò le carte: dietro la safety car, causa pioggia, alla prima curva va in scena l’incidente con il maggior numero di vetture coinvolte nella storia della Formula 1, ben tredici. Si riparte, sempre con pioggia, senza Barrichello (infortunato), Salo, Panis e Rosset (non avevano vetture di sostituzione).
Altri incidenti, Hakkinen è subito out per un contatto con Herbert, Coulthard va in testacoda dopo lo scontro con Wurz. Dopo la safety-car, Damon Hill, sulla Jordan, guida il gruppo ma l’inglese è subito sfilato da Schumacher: il tedesco guadagna secondi su secondi ad ogni giro, la gara è in pugno, così come il sorpasso Mondiale. Al 25° giro, il fattaccio: Coulthard, che nel frattempo era rientrato ai box per problemi, si appresta ad essere doppiato ma rallenta in rettilineo, forse più del dovuto: Michael, complice la scarsa visibilità, lo tampona in pieno.
L’incidente avrebbe potuto generare conseguenze catastrofiche, si risolve con uno spavento e con la rabbia di Schumi. Nei box tenta di aggredire Coulthard, lo accusa di aver voluto ucciderlo. Todt e Domenicali lo trattengono a fatica, i meccanici McLaren evitano la rissa, le immagini faranno il giro del mondo.
La gara la vince Hill, davanti al compagno di squadra Ralf Schumacher: è la prima ed unica doppietta della Jordan in Formula 1. Sul podio finisce anche un amatissimo ex ferrarista come Jean Alesi, è l’ultimo della sua bella e sfortunata carriera.
La classifica mondiale non cambia, ma è evidente che l’occasione sprecata peserà tantissimo nel finale di stagione. A Monza c’è l’ultimo squillo di Schumacher che vince e si porta a quota 80, in perfetta parità con Hakkinen che chiude quarto. Il finlandese, però, vince le ultime due gare, al Nurbugring (col rivale secondo) e in Giappone. A Suzuka, Schumi fu protagonista di uno degli errori più clamorosi della sua carriera, con la partenza sbagliata (era in pole) che lo costringe a partire dall’ultimo posto e che di fatto consegna il mondiale nelle mani di Hakkinen. Ma, come direbbe qualcuno, questa è un’altra storia…