Pochi giorni fa vi abbiamo parlato della nuova Toyota Mirai 2021 e delle sue particolarità. Oggi entriamo, però, nel cuore di questo veicolo. Nello specifico parleremo più nel dettaglio dei veicoli fuel cell, dell’idrogeno utilizzato per alimentarli e dei serbatoi dove esso viene custodito.
Per comprendere meglio la necessità dell’utilizzo di idrogeno per alimentare Toyota Mirai e come lei, tutti i veicoli fuell cell o a celle di combustibile, bisogna prima capire il loro funzionamento. Un veicolo fuel cell è fondamentalmente un’auto ibrida in cui la parte termica è stata sostituita da un serbatoio di idrogeno e uno stack di celle a combustibile.
Essa si basa su una reazione elettrochimica in cui le molecole del combustibile si separano in ioni positivi e negativi. Questi ultimi transitano in un circuito in modo da creare una corrente elettrica. L’idrogeno è particolarmente adatto a questo scopo, poiché il legame fra i suoi atomi è relativamente debole.
Per permettere questa reazione elettrochimica è necessario l’ossigeno, che viene prelevato dalle prese d’aria del veicolo. La corrente prodotta va poi ad alimentare un motore elettrico di trazione. I prodotti di scarto sono calore e semplicemente acqua. Infatti, combinando chimicamente idrogeno (H2) e ossigeno (O) si ottiene proprio acqua (H2O), che viene rilasciata tramite il tubo di scarico che, quindi, è ancora presente.
A lungo si è discusso sulla sicurezza dei serbatoi di Mirai e più in generale sull’idrogeno, visto che rispetto a GPL e metano deve essere stoccato a pressioni ben più alte per ottenere una sufficiente densità energetica. Infatti, se per il metano si parla di pressioni intorno ai 200 bar, per il GPL non si sforano nemmeno gli 8 bar di pressione.
L’idrogeno con cui viene alimentata Mirai è invece immagazzinato a ben 700 bar. Proprio per questo motivo, Toyota adotta particolarissimo accorgimenti per i suoi speciali serbatoi che analizzeremo di seguito.
Come ogni nuova tecnologia, i veicoli a celle di combustibile, hanno bisogno di tempo per potersi affermare, soprattutto considerando che a molti l’idrogeno rievoca immagini non del tutto serene. La percezione comune della pericolosità dell’idrogeno potrebbe essere sintetizzata in due cause scatenanti principali.
L’idrogeno è spesso associato alla famigerata “bomba all’idrogeno” o “bomba H”, la quale non è altro che un ordigno termonucleare, ovvero basato su una reazione nucleare il cui innesco è termico. Quello appena descritto, però, non ha nulla a che fare con l’idrogeno utilizzato per i veicoli cosiddetti fuel cell.
Per prima cosa, la fusione nucleare è un processo che può essere innescato solo portando l’idrogeno a temperature dell’ordine di milioni di gradi centigradi, ma per fare ciò è appunto necessaria una bomba atomica.
La seconda importante precisazione che va fatta è che all’interno dell’ordigno termonucleare è utilizzato un isotopo radioattivo dell’idrogeno, che non è lo stesso presente, per esempio, nell’acqua e in tutti i composti organici.
Un ulteriore motivo per cui l’idrogeno è visto con sospetto potrebbe essere riconducibile ad un incidente del lontano 1937. Il dirigibile tedesco Hindenburg, durante la fase di attracco a Lakehurst nel New Jersey, esplose uccidendo 35 delle 97 persone che erano a bordo. L’aeronave era, per l’appunto, riempita con idrogeno e l’avvenimento segnò la fine per tali mezzi di trasporto.
Dopo anni di ricerche, oggi si pensa che la causa scatenante dell’incidente possa essere ricondotta a una carica elettrostatica. Pare che mentre il mezzo passeggeri tedesco stava attraversando una tempesta nell’infausto giorno dell’incidente, una scarica elettrica proveniente dalle nuvole abbia caricato la pelle del dirigibile.
Successivamente nella fase di attracco, la struttura di alluminio del dirigibile si connesse al pilone bagnato, e quindi a terra, provocando una scarica elettrica. Questo scaturì l’accensione delle sacche di idrogeno che sappiamo essere un gas altamente infiammabile.
Tuttavia, ciò che causò il grande incendio non fu solamente l’idrogeno, che bruciò rapidamente sopra gli occupanti della nave, ma anche il gasolio che veniva utilizzato per alimentare i motori ed il rivestimento altamente infiammabile dell’ aeronave stessa da dove tutto partì.
Per quanto riguarda invece le proprietà dell’idrogeno, esso è un gas leggerissimo, addirittura 14.4 volte più leggero dell’aria. In caso di fuoriuscita dal serbatoio si disperderebbe molto rapidamente rendendo più difficile un innesco rispetto a benzina o gasolio, che invece creerebbero una pozza altamente infiammabile.
Un problema legato a questa sostanza è l’elevato range di infiammabilità, circa dal 4% al 75%. Per range di infiammabilità si intende la percentuale di combustibile necessaria per dare inizio ad un processo di combustione. È un parametro comunemente utilizzato per definire la sicurezza di un gas. Avere un ampio range significa ottenere con più facilità la condizione per cui la miscela, in questo caso idrogeno-aria, può bruciare.
Normalmente i gas hanno un campo di infiammabilità molto più ridotto. Il metano, ad esempio, ha un range tra Il 4% e il 15% che lo rende molto meno pericoloso sotto questo punto di vista. Ciò perché fuori da questo range, la miscela metano-aria risulterebbe troppo magra o troppo grassa per bruciare. Anche per questo motivo, particolare attenzione va prestata alla progettazione dei serbatoi di idrogeno.
I recipienti in pressione utilizzati per i serbatoi di Mirai sono chiamati COPV (composite overwrapped pressure vessel). Toyota li realizza dal 2000, anni in cui nascevano i primi prototipi di veicoli alimentati a idrogeno.
La loro resistenza è data dalla struttura in fibra di carbonio. Su di essa è realizzato uno strato in fibra di vetro. Qualora il veicolo dovesse essere coinvolto in un incidente, gli eventuali danni a un serbatoio sarebbero visibili sullo strato più esterno, che quindi ha il compito di accertarne l’integrità. L’intero serbatoio è poi rivestito con del materiale polimerico per sigillarlo.
Per norma di legge sono definiti rigorosi standard da rispettare quando si parla di serbatoi di idrogeno sotto pressione. I seguenti test sono quelli effettuati sui serbatoi di Toyota Mirai:
Inoltre, gli ingegneri di Toyota, non soddisfatti, per ribadire la piena sicurezza dei loro serbatoi hanno addirittura deciso di prenderli a fucilate! In un famoso video pubblicato su youtube da Toyota USA si vede un serbatoio in fibra di carbonio di Mirai contro cui viene sparato un proiettile di grosso calibro. Esso fora il serbatoio senza però causarne l’esplosione. Il tutto è stato ripreso da una telecamera in slow motion
Toyota infine spiega che il test estremo effettuato è solo un altro modo per aiutare a guidare il cambiamento in tutta tranquillità dimostrando ancora una volta la sicurezza del serbatoio.
A cura di Alessio Cervelione