F1: come cambia l’aerodinamica da Zandvoort a Monza
La Formula 1 in appena 7 giorni è passata da un circuito come quello di Zandvoort caratterizzato da curve, tornanti con alcuni di essi anche inclinati, a quello di Monza, dove il pilota tiene giù tutto il pedale dell’acceleratore anche per il 70% del giro, caratterizzato principalmente da lunghi rettilinei e poche curve. Si tratta dunque di due tracciati che hanno caratteristiche completamente opposte. È chiaro, dunque, che anche l’aerodinamica in appena 5 giorni ha subito modifiche profonde, passando dal carico estremamente elevato di Zandvoort a quello estremamente scarico di Monza. Red Bull ci spiega come funziona l’aerodinamica di una vettura di Formula 1.
Il principio fondamentale dell’aerodinamica della F1 risiede nel Principio di Bernoulli, sviluppato dal matematico olandese Daniel Bernoulli. Il principio di Bernoulli afferma che l’aumento della velocità di un fluido avviene contemporaneamente alla diminuzione della pressione statica. Sebbene ciò abbia portato a invenzioni relativamente banali come l’aereo e il carburatore, la sua rilevanza cruciale è per l’industria delle corse automobilistiche, dove viene applicata per generare deportanza. Il movimento del flusso d’aria più veloce sotto una superficie, rispetto alla velocità del flusso d’aria sopra di essa, ad esempio utilizzando profili aerodinamici sagomati, genera una zona di bassa pressione sotto la superficie che risucchia l’auto fino alla pista. Maggiore è la differenza di pressione, più potente sarà l’effetto e maggiore sarà l’aderenza aerodinamica dell’auto.
Ali più grandi, però, generano anche più resistenza all’avanzamento, che rallenta la vettura, limitando di poco l’accelerazione e di molto la velocità massima. Dunque c’è sempre un compromesso da fare tra deportanza e resistenza. In piste in cui ci sono molte curve (come ad esempio Zandvoort) il compromesso dà la priorità al carico aerodinamico; su una pista di piena potenza, come quella di Monza, la priorità è ridurre la resistenza per avere velocità di punta maggiori. Non tutte le squadre si preoccuperanno di costruire un’ala posteriore specifica per Monza. È un’attività costosa e, con pochi motivi per usarla altrove, i team con risorse limitate potrebbero considerarla una spesa folle. Invece, si accontenteranno dell’ala usata in passato su altri circuiti veloci, anche se non come quello di Monza, come ad esempio Spa, Canada, o Baku.
Di solito molti fanno confusione quando i team di Formula 1 aggiungono spesso più carico aerodinamico all’auto con il massimo carico aerodinamico. Il classico esempio di ciò può essere visto ogni volta che i Gran Premi di Spagna e Monaco sono vicini nel calendario. Il circuito spagnolo è una pista con il massimo carico aerodinamico, in cui le squadre portano le loro ali più grandi per far fronte alle numerose curve ed avvallamenti della pista. Dopo il Gran Premio spagnolo, è il turno di quello di Monaco. Anche lì serve la massima deportanza, ma ben oltre il concetto di “massimo” che vediamo in Spagna.
Per Monaco, la squadra prenderà il pacchetto di carico aerodinamico massimo che ha funzionato in Spagna e aggiungerà flap extra, e componenti in più per generare altro carico aerodinamico. Ad esempio, a Monaco, si potrebbe aggiungere la T-Wing, che in Spagna non c’era. A quel punto di va oltre il concetto di “carico massimo”.
Monza vs. Zandvoort: il DRS e la velocità di punta
Un’altra differenza tra i due circuiti, la fa il DRS (acronimo di Drag Reduction System). Il DRS funziona alzando il flap sull’ala posteriore e riducendo così la resistenza per l’accesso temporaneo a velocità massime più elevate. In una pista come il Red Bull Ring, che ha zone DRS su ciascuno dei tre rettilinei, questo permette alla squadra di avere in ben tre rettilineo una velocità massima maggiore.
Su un circuito come quello di Zandvoort, il DRS consentirà di guadagnare maggior velocità perché il layout del circuito prevede una configurazione più carica. Su un circuito come Monza, invece, in cui le ali già sono scariche in configurazione standard, aprire il DRS porta un vantaggio decisamente minore.
Su circuiti come Monza, si sente molto parlare di velocità EOS – End of Straight – ma la velocità massima alla fine dei rettilinei tende ad essere più indicativa delle scelte di assetto piuttosto che una guida alle prestazioni, e può essere il caso che le auto più veloci sul rettilineo saranno anche le più lente nelle curve: sono veloci in rettilineo perché semplicemente non generano tanto carico aerodinamico quanto i loro avversari, e quindi hanno meno resistenza. Ovviamente può essere vero anche il contrario.
Monza lo dimostra bene. La Red Bull ha vinto a Monza nel 2011 con Sebastian Vettel che ha conquistato sia la pole position che la vittoria. La cosa interessante del giro della pole position di Vettel è che la sua Red Bull è stata l’auto più lenta di tutte e 24 le monoposto in griglia. Vettel all’epoca transitò alla fine del rettilineo a 327,7 km/h, mentre il più veloce era Sergio Perez, all’epoca su Sauber che aveva toccato i 349,2 km/h, classificandosi 15esimo.
Quindi, vero è che a Monza è importante la velocità, ma non è tutto. Nel caso di quella gara del 2011, il team credeva che si potesse ottenere un tempo sul giro più veloce portando un pacchetto aerodinamico un po’ più carico. Dà alla vettura prestazioni migliori e più stabili in frenata, ma la rende anche più veloce in curva. Mentre la velocità alla fine dei rettilinei fa notizia – perché è impossibile essere un fan del motorsport e non provare l’emozione di vedere qualcosa che va molto, molto veloce – è spesso la velocità all’inizio del rettilineo che ha l’impatto maggiore.
L’auto con un carico leggermente maggiore può affrontare l’ultima curva della Parabolica con una marcia in più. Si può uscire dalla Parabolica con una velocità superiore anche di 10 km/h e mantenere la maggior parte di quel vantaggio di velocità per tutta la prima parte del rettilineo, allontanandosi dall’altra vettura mentre entrambi accelerano. Si perderà terreno nella seconda parte del rettilineo, ma complessivamente si può ottenere comunque un vantaggio.
Guidare e correre sono due cose ben diverse
È importante sfatare un altro mito: il tempo sul giro non è l’unica cosa che conta. Guidare e correre sono spesso cose diverse e ottimizzare l’auto per il giro singolo non è molto utile se non puoi tenere il tuo passo per un lungo tempo, e soprattutto con aria pulita.
Spa potrebbe essere più illustrativa di Monza in questo senso. Il primo e il terzo settore di Spa, con i loro lunghi tratti in piena accelerazione, sono percorsi meglio con un’auto a bassa resistenza. Il settore centrale, al contrario, con le sue chicane a Les Combes e Fagnes, il tornante a Bruxelles, l’ultra veloce Pouhon, richiederebbe, il massimo carico aerodinamico come quello visto a Monaco o Zandvoort.
Per un giro di qualifica, può darsi che il miglior pacchetto aerodinamico sia quello che favorisce il settore due rispetto ai settori uno e tre, ma anche questa volta non è niente dato per scontato. Il problema è che non corri da solo. Se dai più carico aerodinamico, ma non parti in pole position, potresti avere difficoltà a superare in rettilineo. Anche partendo in pole, però, può risultare difficile difendersi, soprattutto nel primo settore con il gruppo di vetture incollato al leader. In tali circostanze, non puoi sfruttare quei vantaggi di maggiore carico aerodinamico attraverso le chicane e Pouhon perché a quel punto sei dietro un’auto che non ha il tuo stesso passo in quel tratto. Tutto ciò rende la scelta del carico aerodinamico dipendente a ciò che potrebbero fare gli avversari.
Dunque, sviluppare un setup per un’auto da corsa, e maggiormente per un’auto estrema come quelle da Formula 1, è un lavoro tutt’altro che facile. Bisogna considerare tanti fattori e spesso è necessario anche vedere cosa fanno gli avversari per regolarsi di conseguenza.