Additive Manufacturing ed esasperazione delle performance: differenze rispetto alle tecnologie convenzionali

Agli inizi definita prototipazione rapida, poi Additive Manufacturing (AM), è questa la tecnologia che ha senza dubbio riformato le logiche della produzione e della progettazione in campo non solo industriale, navale e dell’aerospazio (dove le performance, i tempi di produzione e i relativi costi hanno un’importanza fondamentale), ma anche in settori come quello biomedico ed elettronico.

Il processo produttivo prevede la realizzazione del prodotto mediante la stratificazione di layer e/o la deposizione di materiale. Il rapido sviluppo della tecnologia ha consentito nel tempo di ampliare la gamma di materiali utilizzati; oltre ai polimeri, si sono aggiunti anche i metalli, materiali ceramici e compositi, arrivando così a contemplare un gran numero di processi molto diversi fra loro.

Le tecnologie di AM possono essere classificate in vari modi. Una classificazione interessante è quella proposta dall’ASTM (American Society for Testing and Materials) che divide i vari processi in sette categorie:

  • Vat photopolimerization
  • Material extrusion
  • Power Bed Fusion
  • Material Jetting
  • Binder Jetting
  • Direct energy deposition
  • Sheet lamination

La vista esplosa delle sette categorie prima citate evidenzia come all’interno dell’AM ogni tecnologia è differente: a seconda del materiale utilizzato, cambia la tecnica, la fonte energetica e lo stato di partenza delle materie prime. La buona conoscenza dei fenomeni fisico-chimici e termo-meccanici che entrano in gioco è necessaria, per garantire una selezione più accurata dei parametri di processo e per il raggiungimento delle caratteristiche desiderate richieste dallo specifico caso.

I principali punti di forza sono senza dubbio la rapidità del processo, la drastica riduzione degli scarti di lavorazione, la possibilità di realizzare geometrie complesse consentendo alleggerimenti impensabili con altri metodi.

Tecniche sottrattive e additive: il confronto

Le tecniche sottrattive prevedono la rimozione di materiale da una forma solida; fra queste, le lavorazioni CNC (Computerized Numerical Control) sono molto utilizzate in campo industriale. Sebbene anche i processi CNC utilizzino un file CAD di partenza, per le macchine a controllo numerico sono necessari un elevato numero di tools e operazioni per la produzione del componente finale; mentre, nell’AM oltre alla riduzione o all’assenza di utensili, è possibile addensare tutte le attività che una tecnica sottrattiva richiede, in un singolo step. I pezzi lavorati al CNC rispetto a quelli prodotti in AM presentano però una finitura superficiale e una risposta meccanica migliore.

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Lavorazione CNC di un componente in metallo. Credits: Varotsis da Hubs

L’impiego delle tecnologie additive risulta indispensabile per particolari superleghe altoresistenziali: un esempio sono quelle a base di Nichel come IN615 e IN718. Infatti, grazie alla loro ottima resistenza alle alte temperature e alla corrosione, sono la soluzione a scenari in cui gli stress termici sono elevati e i tempi di utilizzo significativi. A causa di queste caratteristiche peculiari, le superleghe risultano difficili da lavorare con i processi convenzionali per la loro bassa conducibilità termica, che si traduce in un elevato gradiente di temperatura all’interfaccia fra il pezzo e l’utensile, e quindi un tasso di usura non accettabile.

Niente più scarti o quasi. Nei processi di AM si utilizza solo il materiale strettamente necessario, e nel caso di polveri, è possibile riutilizzare quelle non direttamente interessate dal processo. Invece, lavorando in logica sottrattiva, il blocco di partenza presenta un volume più elevato rispetto alle dimensioni effettive finali, corrispondente almeno alle dimensioni di massimo ingombro, con conseguente notevole spreco di materiale.

I tempi? La precisione del CNC rende questo processo molto più laborioso, con interventi del personale durante le lavorazioni frequenti; ciò si traduce in tempi maggiori rispetto alla realizzazione dei pezzi in AM.

Tecniche di fonderia e stampa 3D: solidificazione e cooling

In questo caso, il confronto fra le due tecniche può essere fatto considerando il raffreddamento e la solidificazione, fenomeni dai quali dipendono la microstruttura dei componenti e le proprietà meccaniche.

Durante la solidificazione si formano i reticoli cristallini. La formazione è influenzata dalla composizione chimica dei materiali e dalla velocità con cui avviene il sottoraffreddamento.

Confronto fra i due processi per la lega di AlSi10Mg.

Inoltre, per quanto riguarda le proprietà meccaniche, i componenti prodotti in AM presentano valori di tensione di snervamento, tensione a rottura e durezza più elevati rispetto ai pezzi fabbricati per fusione; questi ultimi invece, mostrano un comportamento migliore a fatica, una duttilità e un allungamento percentuale più alto. Questo comportamento è da associare alle caratteristiche microscopiche dei componenti: una microstruttura più fine è più propensa ad inibire il movimento delle dislocazioni che si impilano lungo i bordi di grano, migliorando la resistenza al creep.

La tecnica fusoria è caratterizzata da un sottoraffreddamento molto lento (in genere 0.1-80 K/sec), motivo per cui la struttura finale sarà costituita da grani di dimensione maggiore ed equiassici. Le parti in AM, invece, presentano un raffreddamento molto più veloce (solitamente 1000-6000 K/sec), quindi, un processo di solidificazione più rapido. Bisogna ricordare che i singoli layer sono sottoposti a cicli termici abbastanza complessi: la deposizione di un nuovo layer avviene dopo la fusione di quello precedente da una sorgente energetica (fascio laser per SLM, fascio di elettroni per EBM). Il risultato è una microstruttura più fine e una struttura di solidificazione dendritica che si sviluppa lungo la direzione di costruzione, associata al gradiente termico più elevato.

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Confronto tra i due processi in termini di durezza e modulo di Young. Si nota per la durezza, che i trattamenti termici ribaltano la situazione rispetto al campione allo stato stato as-build. Credits: Results in Materials

Costi di produzione: Additive vs Traditional Manufacturing

Gli sforzi massivi in termini di ricerca e sviluppo in campo additivo hanno permesso di ammortizzare i costi originariamente legati a questa tecnologia ed eliminare il gap esistente fra cliente e produttore. Oggigiorno esistono stampanti 3D molto economiche, acquistabili anche con qualche centinaia di euro, che permettono a chiunque voglia familiarizzare con questa tecnologia, di mettersi alla prova.

Costo unitario di produzione in funzione del volume produttivo e della complessità geometrica. Credits: CIRP Journal of Manufacturing Science and Technology

Il grafico a sinistra evidenzia come nelle tecnologie di Additive Manufacturing, il costo unitario di produzione sia svincolato dalla quantità prodotta, rappresentando la soluzione più economica per quantità limitate. Le tecniche convenzionali invece, sono da preferire per i volumi produttivi maggiori e da evitare nel caso di produzioni meno numerose; questo perché gli investimenti iniziali da sostenere solo elevati e possono essere ammortizzati solo su grandi quantità.

A destra invece, con l’aumento della complessità geometrica dei pezzi, l’andamento della funzione costo per le lavorazioni tradizionali subisce un’impennata; questi extra costi sono associati principalmente agli utensili necessari per l’esecuzione di più operazioni, alla durata del set up per il cambio del tool tra una lavorazione e l’altra e ai tempi maggiori richiesti dalla produzione di geometrie complesse. Nell’AM invece, la complessità geometrica è a costo zero e si possono realizzare anche strutture più articolate a patto che le dimensioni siano sempre in linea con quelle della building platform.

Quando l’Additive Manufacturing risulta conveniente? Come scegliere?

Con i processi di Additive Manufacturing è possibile sfruttare superleghe molto interessanti dal punto di vista termico in grado di raggiungere temperature più elevate. Questo aspetto è particolarmente importante perché negli impianti motori termici, avere un fluido più caldo in camera di combustione o all’ingresso in turbina, consente durante la fase di espansione di lavorare con un fluido più “energizzato”. L’energia da un punto di vista termodinamico può essere associata alla variazione di entalpia della trasformazione, proporzionale al lavoro estraibile, quindi alla potenza dell’impianto stesso. Di un’applicazione in campo aerospaziale per la produzione della camera di combustione di un razzo se ne è parlato qui [https://aerospacecue.it/arianegroup-prima-camera-combustione-stampata-3d/20137/].

Uno dei vantaggi delle tecnologie additive è quello di rispondere in maniera più rapida e customizzata alle esigenze del cliente riducendo i tempi di fornitura e la supply chain (catena di approvvigionamento), che nei processi convenzionali è più lunga e complessa. Svantaggi invece, sono la presenza di porosità, difetti e l’elevata rugosità superficiale, peculiarità soprattutto dei processi PBF, che rendono i componenti dal punto di vista meccanico non confrontabili con quelli prodotti tradizionalmente. Bisognerà quindi considerare eventuali operazioni di post-processo. Ovviamente la scelta è sempre un trade off tra benefici e costi.

A cura di Carmela Trimarco