Ci hanno tenuti svegli durante le notti della pandemia e torneranno ad emozionarci anche nel 2024. Sto parlando delle AC75, le rivoluzionarie barche, come la Luna Rossa di Prada, a vela della Coppa America 2021, che, sfrecciando ad oltre 40 nodi con un braccio sott’acqua e l’altro sospeso fuori, sembrano quasi dei volatili preistorici. Ingegneri, commentatori televisivi, giornalisti: in molti hanno provato a spiegare il loro principio di funzionamento, ma probabilmente il modo più semplice per farlo sia confrontarle con dei veicoli molto più noti al grande pubblico: le automobili della Formula 1.
Innanzitutto, è importante ricordare che nessuno si sognerebbe mai di fare una manovra nel traffico o di parcheggiare con una F1 monoposto, dato che queste automobili sono state progettate esclusivamente per ottenere la massima velocità possibile su un circuito costruito appositamente. Lo stesso discorso vale ovviamente anche per le AC75 (o le AC40, se si preferisce citare i modelli che gareggeranno nel 2024). Il loro obiettivo, infatti, è quello di navigare in un contesto ideale, cioè una distesa d’acqua priva di onde, dove fra l’altro l’intensità del vento è ben definita e non varia nel tempo. Sarebbe bello solcare le acque del Golfo di Napoli con Luna Rossa, ma purtroppo non è possibile. O meglio, chiunque ne abbia l’intenzione è libero di provarci, ma è decisamente sconsigliato.
Quindi, sia le F1 che le AC75 sono dei “laboratori” in movimento, ai quali i tecnici, usando l’ingegno, applicano le migliori tecnologie che hanno a disposizione, al fine di massimizzare le loro prestazioni. Ed il termine “laboratorio” non è affatto una forzatura, proprio perché le tecnologie più moderne e più sofisticate devono prima di tutto essere testate. E quale modo migliore di sperimentarle se non un mezzo di trasporto destinato a percorrere una traiettoria ben definita e senza ostacoli?
È proprio questo il punto: sia la Formula 1 che la Coppa America non sono solo delle competizioni, ma sono soprattutto sinonimo di innovazione tecnologica ed ingegneristica. Sistemi come il turbo o l’ABS sono nati come delle innovazioni sviluppate ed implementate in F1 e, appena videro la luce, sembravano addirittura fantascienza, mentre oggi sono diventati ormai di uso quotidiano in quasi tutte le automobili. Similmente, anche gli hydrofoil, conosciuti più comunemente come le “ali” di Luna Rossa, ad oggi trovano la loro principale applicazione nel mondo delle corse, ma non è da escludere che un giorno diventeranno una prerogativa di quasi tutte le imbarcazioni. Se esse, infatti, durante la navigazione, riuscissero a sollevarsi dall’acqua, ne risulterebbero dei notevoli vantaggi: dall’abbattimento dei consumi alla diminuzione di disturbi fisici, quali il mal di mare, dovuti alle periodiche oscillazioni di rollio. E, a proposito di foil, arriviamo subito alla prossima analogia.
I foil sono quei dispositivi che consentono all’imbarcazione di volare sopra l’acqua, una volta raggiunta una certa velocità di navigazione. Per capire meglio il loro funzionamento, immaginiamo di prendere un foil e di tagliarne una “fetta” estremamente sottile. Essa prende il nome di “profilo alare” e racchiude in sé tutte le proprietà del foil, proprio come se fosse il suo DNA. Quando il profilo alare è investito da un fluido (come l’aria o l’acqua) ad una certa velocità, si determinano delle sollecitazioni, delle quali le più importanti sono la resistenza (D), che si oppone al movimento, e la portanza (L), che invece si oppone al peso, permettendo così il volo.
Ma da dove deriva la portanza? Innanzitutto, occorre precisare che la superficie esterna di un componente, per quanto possa apparire liscia, in realtà presenta numerose asperità al livello microscopico. Chiarito quest’aspetto, sapendo che il fluido che investe il profilo non è un continuo, ma è un insieme di particelle elementari, risulta evidente che le particelle più vicine alla superficie del profilo rimangono intrappolate nelle cavità presenti in superficie.
Quindi, dato che il fluido in questione è viscoso, le altre particelle un po’ più lontane non procedono indisturbate, ma subiscono l’influenza di quelle sottostanti, pertanto sono costrette ad affrontare la curvatura del profilo. La particella in curva è quindi sottoposta ad una forza centrifuga, che è inversamente proporzionale al raggio di curvatura e che tende a far allontanare dalla superficie del profilo la particella stessa, la cui pressione risultante diminuisce di conseguenza (essendo la pressione calcolata come la forza esercitata per unità di area). A questo punto, dato che la parte superiore (estradosso) del profilo alare ha un raggio di curvatura più piccolo di quello della parte inferiore (intradosso), si ottiene che l’abbassamento di pressione è maggiore sull’estradosso.
In conclusione, se si sommano tutti i contribuiti dati da ogni particella su ciascun punto del profilo, ecco che si ottiene quella forza che spinge il profilo verso l’alto, ovvero la portanza.
Ma veniamo adesso al significato del titolo di questo paragrafo. Che cos’hanno in comune i foil di Luna Rossa con gli pneumatici di un’auto da Formula 1? Beh, per le barche a vela della Coppa America, il volo è la loro essenza e, affinché riescano a sollevarsi dall’acqua, è fondamentale che almeno uno dei due foil (in base al tipo di manovra che sta affrontando la barca) si trovi sott’acqua. Ecco il punto: esattamente come gli pneumatici di un’auto della Formula 1, i foil devono fornire “aderenza” alla barca sia in “rettilineo” che in “curva”. Infatti, se da un lato è vero che i foil permettono il volo alla barca, dall’altro lato la devono tenere collegata all’acqua. Se i foil perdessero la loro “aderenza”, la barca, navigando ad altissima velocità, prima decollerebbe e poi ricadrebbe rovinosamente, rischiando addirittura di affondare. Ne fu un esempio la tanto spettacolare quanto drammatica scuffia di Patriot, l’AC75 del team “New York Yacht Club American Magic”.
La cosiddetta “aderenza” dei foil è garantita grazie a dei dispositivi denominati flap. Essi, tramite un azionamento elettronico, permettono di regolare la curvatura del profilo, in modo tale da favorire o sfavorire il meccanismo di generazione della portanza in base alle necessità: se il foil si solleva eccessivamente e rischia di uscire dall’acqua, bisogna ovviamente ridurre la portanza, per poi riaumentarla quando il foil scende sotto una certa quota.
Procediamo adesso con la successiva analogia. Esattamente come il telaio delle F1, anche lo scafo delle AC75 deve avere un’adeguata progettazione aerodinamica. Infatti, per la prima volta nella storia della Coppa America, un monoscafo si solleva completamente dall’acqua, pertanto bisogna avere cura che la resistenza aerodinamica sia ridotta il più possibile. Quest’ultima, infatti, ad altissime velocità, diventa molto più importante della sola resistenza idrodinamica, che al contrario interessa i soli foil.
Se osserviamo attentamente lo scafo di Luna Rossa, notiamo che, esattamente come per la carenatura delle auto da F1, l’intera superficie, coperta compresa, è stata perfettamente avviata, senza interruzioni e senza aperture, se non quelle strettamente necessarie. Lo stesso equipaggio è rimasto tutto il tempo nascosto all’interno di canali simili a delle “trincee”, in modo tale da ridurre ulteriormente la resistenza aerodinamica. E non è tutto: persino la forma della carena è stata opportunamente studiata in modo da sfruttare al massimo il cosiddetto “effetto suolo”.
Limitatamente alle due barche finaliste, quella di Luna Rossa è una carena piatta che si raccorda dolcemente con le murate, mentre Te Rehutai del team neozelandese ha un fondo della carena sempre piatto, ma che si raccorda con le murate su uno spigolo che a poppa scende verso il basso. In entrambi i casi (ma soprattutto nel secondo), si forma una sorta di doppio tunnel ai lati della chiglia centrale, dove l’aria viene leggermente compressa e va quindi a formare un “cuscino” che aiuta a tenere sollevata la barca, facilitandone il volo.
Eccoci finalmente giunti all’ultima analogia. È ovvio che la ciliegina sulla torta, con il compito di massimizzare le prestazioni, è il componente che deve fornire l’energia necessaria alla spinta propulsiva, ovvero il motore. Per le AC75, il motore è costituito dalle vele.
Nella scorsa edizione della Coppa America, sono state adottate numerose soluzioni innovative per aumentare i “cavalli”, prima fra tutte la cosiddetta soft wing. Essa è formata da due rande issate parallelamente, al cui interno sono inseriti i controlli della forma. In questo modo, si ottengono due piccioni con una fava: si ha la stessa efficienza di un’ala rigida e la stessa facilità di utilizzo di una vela tradizionale. Inoltre, rispetto ad un sistema tradizionale, si elimina, oltre a quello “scalino” tra l’albero e la vela, che rovina il flusso del vento proprio dove se ne potrebbe estrarre più energia, anche il boma. Si tratta dell’elemento dove viene inserito il lato basso della randa: lo scopo è quello di sfruttare al massimo il profilo alare della vela, “saldandolo” alla coperta.
In conclusione, gli studi portati avanti per ottimizzare le prestazioni di queste imbarcazioni saranno fondamentali per svilupparne di nuove dotate di queste tecnologie, anche se sicuramente non avremo mai gli stessi foil e le stesse vele di Luna Rossa. Per il momento, tuttavia, anche se alcune imbarcazioni con i foil sono già in circolazione, forse è meglio se ci accontentiamo di navigare semplicemente senza volare. Come dice infatti il noto yacht designer Pierpaolo Lazzarini: “Pensa al futuro, ma non dimenticare mai il passato”.
A cura di Marco Luciani.