Motori moderni: la cinghia di distribuzione è destinata all’estinzione?

Cinghia di distribuzione (123RF foto) - www.vehiclecue.it
La nuova era dei motori passa dall’estinzione della cinghia di distribuzione? Ecco quali decisioni hanno adottato i differenti produttori
Tra le numerose modifiche che hanno coinvolto le autovetture di contemporanea produzione, una su tutte è balzata all’occhio degli esperti. I motori sono sempre più frequentemente sprovvisti di cinghia di distribuzione, così come i moderni propulsori, tra i quali 1.2 PureTech.
Indubbiamente la sostituzione della cinghia di distribuzione rappresenta una tra le opere di manutenzione maggiormente esose per le tasche degli automobilisti, ma la sempre più diffusa assenza di questa componente sta riducendo drasticamente il numero di consumatori costretti a fare i conti – in tutti i sensi – con tale problematica.
Il famigerato motore endotermico PureTech da 1,2 litri, si presenta oggigiorno diametralmente mutato rispetto alla sua prima versione. Inizialmente Ford possedeva un motore 1.0 Ecoboost con presenza di cinghia di distribuzione, poi accantonata, mentre le automobili Renault strizzano maggiormente l’occhio direttamente alla catena da diversi anni per quanto concerne i modelli a benzina.
Allo stesso modo il percorso intrapreso da BMW e Mercedes, con la differenza che questo mutamento drastico include anche i modelli diesel, e non fanno eccezione neppure le case produttrici dell’estremo Oriente, sudcoreane e giapponesi in particolare.
C’è chi ancora continua ad affidarsi alla cinghia
A fare scalpore è stata, inoltre, la decisione di Ferrari di rinunciare alla cinghia di distribuzione, dettata proprio dagli elevati costi che la sostituzione della componente avrebbero comportato, in quanto per procedere in tale direzione si sarebbe reso necessario rimuovere totalmente il motore. La riduzione di popolarità e diffusione della cinghia di distribuzione è un dato di fatto, e se da una parte c’è chi evidenzia i punti favorevoli di tale tendenza, non mancano di certo i sostenitori dei motori possedenti la componentistica, sottolineandone i consumi ridotti e la silenziosità.
Ma non sono poche le case che continuano ad affidarsi alla cinghia di distribuzione per i propri motori. Se prima abbiamo parlato di BMW e Mercedes, un ruolo di spicco nell’industria automobilistica teutonica è indubbiamente detenuto da Volkswagen, secondo produttore di auto a livello mondiale, che dopo un periodo di utilizzo della catena, anche per alcuni dei motori più diffusi e apprezzati della casa produttrice, tra i quali figurano il 1.2 e il 1.4 TSI, ha deciso di compiere una scelta significativa, tornando ad affidarsi alla cinghia ed ottenendo risultati complessivi sensibilmente migliorati.

I risultati del “passaggio” alla catena
La rarità della componente, dunque, non corrisponde ad una totale estinzione della stessa, considerando soprattutto che alcune tra le più prestigiose case automobilistiche continuano ad includerla nel processo produttivo. La catena, che sta progressivamente rubando lo scettro alla cinghia, non è comunque esente da criticità, venendo indicata come un’alternativa dalla non proprio impeccabile affidabilità. Tra i motori maggiormente contestati, proprio per via dei disagi riscontrati, ci sono ad esempio il diesel BlueHDi di Stellantis o l’N47/N57 di BMW.
E ancora la Ford, che ha scelto di optare per un motore con cinghia di distribuzione a bagno d’olio, ossia il 2.0 EcoBlue, similare per certi aspetti al già ampiamente discusso 1.2 PureTech, anche se il propulsore adottato dalla produttrice del Michigan è stato in grado di produrre un numero sensibilmente inferiore di problematiche.