Il nuovo concept della casa di Ingolstadt è stato presentato al salone di Detroit e a quello di Ginevra del 2017. Si tratta dell’Audi Q8, un modello che sarà disponibile a partire dal 2018. L’obiettivo è quello di un’automobile sportiva e Suv allo stesso tempo. L’Audi Q8 sarà il modello per i tecnologici ed efficienti Suv di domani.
Nonostante per ora siano stati mostrati solo i prototipi, molti dettagli sono già a disposizione per gli eventuali acquirenti. A livello estetico ci sono parecchi dettagli che potranno essere sviluppati in futuro su altre vetture. Ad esempio citiamo il trattamento tridimensionale del single frame anteriore. Com’è tipico delle vetture Audi, il lusso non potrà mancare. In particolare sarà abbinato ad accessori elettronici di ultima generazione come il Virtual Cockpit e un display con realtà aumentata.
L’abitacolo è stato progettato per ospitare quattro persone e il bagagliaio avrà una capacità di 630 litri. La trazione sarà integrale permanente e permetterà un perfetto controllo su strada. Il sistema di sospensioni sarà ad aria e permetterà diversi livelli di regolazione in base al terreno affrontato.
carwow.co.uk
Qualche dettaglio più tecnico
L’Audi Q8 ospiterà un motore a sei cilindri 3,0 che sarà a propulsione ibrida. Questa è la prima volta in cui un motore del genere è abbinato ad una trazione non convenzionale. La potenza elettrica necessaria sarà fornita da un sistema elettronico da 48 V. Il motore elettrico aggiunge 20 kW di potenza e 170 Nm di coppia. La batteria al Litio sarà posizionata nella parte posteriore del veicolo e avrà capacità di accumulare pari a 0,9 kWh. Questo permetterà di utilizzare il motore esclusivamente elettrico nei percorsi urbani lenti o nelle manovre di parcheggio. La batteria verrà velocemente ricaricata durante le frenata grazie al sistema di recupero di energia.
Naturalmente i numeri sono impressionanti. Si prevedono una potenza erogata di 476 cavalli e 700 Nm di coppia. L’auto andrà da 0 a 100 km/h in soli 4,7 secondi e avrà una velocità di punta di 275 km/h. Allo stesso tempo è adatta anche per lunghi viaggi, con la sua autonomia di 1200 km.
L’Audi Q8 sarà anche attenta a consumi ed emissioni. Se paragonata infatti con un motore di pari prestazioni ma non con la stessa tecnologia, consumerà 1 litro di carburante in meno ogni 100 km. Questo si concretizza in una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 25 g/km.
In un precedente articolo abbiamo introdotto il cambio di velocità. Ora approfondiamo il tema dei sincronizzatori. Il problema con un cambio tradizionale è il rischio che albero primario e secondario differiscano per numero di giri e la marcia gratti durante l’innesto. Questo a lungo andare provoca usura nel sistema. Il cambio sincronizzato è un particolare meccanismo in cui gli ingranaggi dell’albero secondario sono calettati costantemente in quelli dell’albero primario. Gli ingranaggi sono perciò sempre in presa ma girano a vuoto e non trasmettono il moto.
Ogni ingranaggio viene ingranato grazie ai sincronizzatori. Essi vengono realizzati in bronzo o in leghe di acciaio. Sono composti ognuno da due anelli metallici concentrici montati sull’albero secondario. L’anello più esterno viene detto manicotto d’innesto. Esso possiede lateralmente una parte dentata fatta per ingranare nel corrispondente settore dentato dell’ingranaggio. Inoltre il manicotto d’innesto possiede una dentatura interna longitudinale che lo collega all’anello interno del sincronizzatore. Quest’ultimo viene chiamato mozzo ed è a sua volta calettato nell’albero secondario del cambio.
autoconfronti.net
Lateralmente il mozzo ha una zona cava di forma conica in cui si inserisce l’ingranaggio del cambio. Inoltre i due anelli del sincronizzatore sono accoppiati assialmente tramite una molla. I sincronizzatori sono azionati da una forcella. Questa è la stessa che nei primi modelli di cambio azionava gli ingranaggi. I sincronizzatori sono uno per due marce e scorrono lungo l’asse dell’albero secondario.
La forcella viene azionata tramite la leva del cambio e avvicina il sincronizzatore all’ingranaggio agganciandolo dall’anello esterno. Le zone coniche di anello e ingranaggio entrano in contatto e il moto viene trasmesso per attrito. Infine il sincronizzatore ingrana l’ingranaggio del cambio e la marcia è innestata.
it.123rf.com
Sincronizzatori Borg-Warner
Si tratta di un meccanismo più complesso in quanto ogni ingranaggio possiede un anello aggiuntivo detto anello sincronizzatore. Su entrambi i lati dell’anello supplementare è presente una parte dentata. Esso però non è calettato sull’albero del cambio ma solo fissato esternamente sul mozzo. L’anello sincronizzatore serve al momento dell’innesto. Infatti ingrana il sincronizzatore e poi il cambio, facendo da intermediario tra i due. L’innesto è in questo modo più semplice.
Le tipologie di sospensioni trattate fino ad ora riguardavano sospensioni passive. In questo articolo trattiamo invece la classe di sospensioni dette attive. Esse sono così definite per la loro capacità di regolare il loro comportamento in base al terreno. Inoltre rispondono più facilmente alle esigenze di ogni automobilista.
Sospensioni oleodinamiche
Si tratta di un tipo di sospensioni a ruote indipendenti. La particolarità risiede nel fatto che esse non possiedono molle e ammortizzatori. I bracci invece sono presenti normalmente. Gli elementi mancanti sono sostituiti da un sistema di assorbimento ad olio. Questo è spinto da una pompa in cilindri idraulici grazie a delle tubazioni di ferro o alluminio.
I cilindri sostituiscono gli ammortizzatori e possiedono una struttura simile. In essi la camera superiore viene mantenuta in pressione grazie alla pompa e comunica con un serbatoio di accumulo. I moderni sistemi di questo tipo sono controllati elettronicamente. Infatti è possibile stabilire la pressione da esercitare sul singolo cilindro.
I primi sistemi invece, adottati dalla Citroen, erano controllati manualmente tramite una leva posta nell’abitacolo. Essa consentiva di scegliere il tipo di assetto desiderato regolando altezza e rigidezza del veicolo. Inoltre il meccanismo era completamente idraulico e regolabile tramite una valvola.
La pompa che fa parte di questo sistema è volumetrica con sette pistoni. Essa generalmente gestisce anche il servosterzo idraulico. Il suo compito è quello di mettere in pressione il liquido idraulico prelevato dal serbatoio che alimenta tutti gli organi idraulici dell’auto. Ogni pistone compie un ciclo composto da due fasi: aspirazione e compressione.
Aspirazione
La molla di richiamo fa aprire ogni pistone non premuto, il quale aspira olio idraulico dall’esterno tramite quattro piccoli fori situati sul corpo di esso.
Compressione
L’olio è compresso e grazie alla pressione apre la valvola posta sul fondo. A questo punto entra nel circuito di utilizzazione.
Sospensioni gestite elettronicamente
Questa tipologia di sospensioni attive adotta uno schema tradizionale con tutti i componenti. La diversità risiede nel fatto che gli ammortizzatori vengono riempiti d’olio grazie ad una pompa. Essa consente di regolarne la durezza del sistema. Inoltre sono presenti delle elettrovalvole poste sugli ammortizzatori per modulare la pressione abbinati alla pompa per trasmissioni idrauliche.
Esistono sistemi senza pompa e gestiti esclusivamente dall’elettronica. In ogni ammortizzatore un’elettrovalvola modula la dimensione dei fori di passaggio dalla prima alla seconda camera. Questo consente una maggiore possibilità di controllo del sistema.
Abbiamo già parlato di sospensioni e ammortizzatori e descritto le tipologie di sospensioni a ponte rigido. Ci occupiamo ora di sospensioni a ruote indipendenti. Esse hanno questo nome poiché ogni ruota possiede un personale collegamento col telaio. Ad esso sono associati un ammortizzatore e una molla.
Le sospensioni a ruote indipendenti costituiscono la soluzione più diffusa delle auto moderne. Possono essere a bracci trasversali oppure longitudinali. Questi bracci oscillanti possono essere molteplici e fissati al telaio in uno o due punti e al porta mozzo in un punto.
Vengono utilizzate barre stabilizzatrici o di torsione. La barra di torsione è un tondino di metallo che può ruotare su una boccola ma vincola la sospensione nella possibile direzione di flessione. La barra stabilizzatrice invece unisce le sospensioni delle ruote sullo stesso asse. Essendo ancorata al telaio del veicolo funge anche da barra anti rollio. Per la sua azione rigida può essere paragonata all’assale rigido.
giornalemotori.com
Sospensione a bracci longitudinali
Questa tipologia di sospensioni è molto semplice ed è composta da un braccio oscillante che collega ruota e telaio. Esso è disposto parallelamente al senso di marcia. Il braccio longitudinale mantiene il battistrada parallelo al terreno ma non reagisce bene agli sforzi di taglio. Ad esempio durante una curva sono presenti consistenti forze trasversali. Le sospensioni a braccio longitudinale si utilizzano per le ruote posteriori. Questo perché le ruote anteriori sterzanti richiederebbero bracci particolari con sagome adeguate.
Sospensioni McPherson
Si tratta di sospensioni a bracci oscillanti trasversali. In questo caso l’ammortizzatore è sia un elemento smorzante che di collegamento tra telaio e porta mozzo. Questo perché è associato ad un braccio trasversale con cui forma un triangolo. I vertici di quest’ultimo sono sul porta mozzo, sul telaio in basso e sul punto di collegamento con l’ammortizzatore. Le sospensioni McPherson hanno ridotto ingombro e consentono di calibrare le variazioni d’assetto della sospensione sotto carico. Essendo molto semplice come struttura, ha costi contenuti senza rinunciare alle prestazioni. Questo fa sì che sia la struttura più utilizzata per le auto a trazione posteriore per quanto riguarda l’avantreno.
I bracci utilizzati da questa tipologia di sospensioni possono essere semplici (bielle) oppure triangolari o trapezoidali. Nel caso di bielle semplici viene aggiunta una barra stabilizzatrice o di torsione per vincolare il braccio. Questo per evitare danni dovuti agli sforzi di taglio in accelerazione o frenata.
Sospensioni a quadrilatero deformabile
Si tratta del sistema più efficace per la tenuta di strada. Viene detto Multilink perché la ruota ha due elementi di collegamento al telaio, cioè due bracci triangolari trasversali sovrapposti. Queste sospensioni hanno un notevole ingombro e non sono di facile installazione. Nonostante ciò, è l’unico che riesce a mantenere la ruota parallela al terreno tra i sistemi a ruote indipendenti.
Di questo sistema esistono due categorie: il Multilink e il Quadrilatero alto. Il Multilink aggiunge alcuni piccoli bracci ausiliari per ridurre l’ingombro. Invece il Quadrilatero alto è simile al McPherson e l’ammortizzatore non serve più da elemento di collegamento. Solitamente le auto che davanti hanno le sospensioni a quadrilatero deformabile, al retrotreni hanno McPherson o Multilink.
Abbiamo introdotto in un precedente articolo le sospensioni e analizzato gli ammortizzatori. Esistono diverse tipologie di sospensioni.
Sospensione a ponte rigido
Il ponte unisce rigidamente le ruote di uno stesso asse. Esso include semiassi e differenziale, oltre ad essere un elemento portante. Esso è fissato al telaio dell’auto tramite gli ammortizzatori e molle a balestra. In alternativa si utilizzano bielle con ammortizzatori e molle a spirale. Si può inoltre connettere tramite una biella (oppure due) il ponte al telaio per evitare il rollio eccessivo del veicolo. In particolare se lo sforzo in frenata è particolarmente consistente vengono aggiunte bielle longitudinali di collegamento.
Questa categoria di sospensioni è la più semplice e ed è anche particolarmente robusta. Inoltre le ruote sono legate da una struttura rigida che non consente loro di ondeggiare. Questo aiuta al mantenimento costante di carreggiata e campanatura. D’altra parte, se le ruote sono fisse, lo stesso non si può dire dell’asse, il quale può ondeggiare. La conseguenza è una scarsa aderenza al fondo stradale. Il ponte viene chiamato assale se esso ha solo funzione portante e non contiene altri elementi.
tecnicamotori.it
Sospensione a ruote interconnesse
Fa parte degli sviluppi del sistema a ponte rigido, insieme al Ponte De Dion. La sospensione a ruote interconnesse è formata da un assale rigido capace di flettersi leggermente nel suo elemento portante. Questo aiuta nella risoluzione del problema dell’aderenza. Una grossa balestra trasversale unisce le ruote e funge da elemento elastico. Gli ammortizzatori sono montati sul porta mozzo o sulle estremità della balestra. L’utilizzo di questa tipologia è legato alle vetture a trazione anteriore tra la metà degli anni 80 e 90. Viene impiegata nell’avantreno della vecchia Fiat 500 ma anche nell’asse posteriore della Fiat Regata.
Il ponte De Dion
Si tratta di un ponte rigido particolarmente efficace nel caso di vetture a trazione posteriore. Il differenziale viene fissato direttamente alla scocca e non alle sospensioni. In pratica il Ponte De Dion è una sospensione ad assale rigido realizzato con profilati metallici cavi. La casa costruttrice madre di questo sistema è l’Alfa Romeo. Essa lo ha utilizzato su vetture come l’Alfetta GT/GTV, l’Alfa 75 e l’Alfa 90.
Il parallelogramma di Watt
Viene detto anche Quadrilatero di Watt ed è una tipologia di attacco tra telaio e sospensioni. Si utilizza soltanto con le sospensioni a ponte rigido. Questo collegamento è formato da due bielle parallele che terminano su un perno agganciato al telaio. Le bielle, identiche, vanno in direzione opposta rispetto all’elemento centrale a cui sono legate (una flangia). Questa soluzione permette soltanto movimenti verticali delle sospensioni. Se il telaio si inclina, la biella corrispondente trasmette il movimento fino alla biella opposta. Essa è vincolata al telaio e lo forza a restare dritto.
Nel precedente articolo abbiamo introdotto il discorso sulle sospensioni. Qui approfondiamo il concetto di ammortizzatori. Essi sono un componente delle sospensioni, insieme allo smorzatore elastico e ai bracci di collegamento. Durante la fase di sollecitazione, la molla tende a reagire con delle oscillazioni. Parte di esse viene assorbita dal peso dell’automobile, ma possono comunque risultare pericolose per la stabilità del veicolo.
Per questo motivo viene introdotto l’ammortizzatore. Esso è un dissipatore di energia che agisce sotto forma di resistenza meccanica. Quest’ultima assorbe l’energia elastica e cinetica delle molle annullandone la pericolosità.
La resistenza meccanica può agire solamente durante la fase di compressione o anche in quella di distensione. Nel primo caso si parla di ammortizzatori a semplice effetto, nella seconda opzione vengono detti a doppio effetto. Gli ammortizzatori, nel caso di molle elicoidali, possono essere posizionati al loro interno in modo da ridurre l’ingombro. Possono comunque essere messi in un altro punto della sospensione, in base alle esigenze del veicolo. L’importante è che siano collegati al braccio.
Gli ammortizzatori possono essere ad olio o a gas (tipicamente azoto a bassa pressione). Questi ultimi si possono scaricare col tempo a causa della progressiva dispersione di gas. Se attraverso la guarnizione di tenuta passa dell’aria si verifica l’aerazione dell’olio. Ovvero esso perde la sua viscosità perché miscelato con l’aria.
Gli ammortizzatori monotubo.
giornalemotori.com
Sono formati da un cilindro chiuso nel quale scorre uno stantuffo. Esso è collegato ad un’asta cilindrica detta stelo che termina con un occhiello fissato al telaio dell’automobile. Lo stantuffo presenta dei fori chiusi da valvole che si aprono durante il movimento per aumentare la resistenza. In caso di sollecitazione del braccio della sospensione, esso si muove con difficoltà grazie alla resistenza opposta dall’ammortizzatore. In questa fase il gas o l’olio passano dalla zona superiore a quella inferiore. Viceversa accade quando il sistema tende alla posizione di riposo.
Questa struttura viene detta ammortizzatore telescopico monotubo in quanto è realizzata in un unico cilindro e tende ad allungarsi e accorciarsi. Una tipologia particolare è l’ammortizzatore De Carbon (a doppia camera). Esso ha il fondo della camera contenente gas o olio che è mobile. Ha un maggior potere di smorzamento e la camera mobile affonda in un’altra camera secondaria in cui è stato messo del gas inerte elastico. Se nella camera secondaria è presente aria si parla di ammortizzatore Allinquant. In questo caso l’olio passa anche nella camera secondaria tramite un foro e si ha un’efficienza minore rispetto alle altre soluzioni.
Gli ammortizzatori a doppio tubo.
Gli ammortizzatori monotubo a doppia camera sono particolarmente efficienti. Hanno però il problema dell’ingombro verticale. Per ovviare a questo inconveniente la camera di espansione può essere posizionata lateralmente. Viene poi collegata al vertice del cilindro tramite un condotto sottile.
In alternativa si realizza direttamente un ammortizzatore a doppio tubo formato da due cilindri coassiali. Il più interno dei cilindri contiene la camera principale con fondo mobile. Esso viene spinto dall’olio tramite lo stantuffo e muove il gas verso la camera più esterna. Le due camere sono in collegamento perché i due cilindri non hanno la stessa lunghezza.
Le sospensioni costituiscono il meccanismo con cui il telaio di un’automobile viene collegato alle ruote. Se il collegamento fosse rigido, verrebbero compromessi sia il comfort a bordo che la stabilità del veicolo. Infatti le irregolarità del terreno verrebbero trasmesse dalle ruote al telaio senza essere attutite. Inoltre in caso di rilievi o alte velocità si rischierebbe di perdere contatto con il suolo.
Le sospensioni non devono alterare i movimenti dal punto di vista della direzione del veicolo ma rendere elastici gli altri spostamenti. In particolare le oscillazioni verticali, laterali (rollio) e tra anteriore e posteriore (beccheggio). Un buon meccanismo favorisce anche l’aderenza a terra degli pneumatici e dunque la stabilità in curva.
Le regolazioni e i parametri legati alle sospensioni definiscono il concetto di “assetto” di un veicolo. I principali sono: convergenza, angolo di camber e incidenza.
Esistono varie tipologie di sospensioni, ma tutte hanno elementi base in comune. Essi sono un ammortizzatore, un elemento elastico e i bracci di collegamento. In generale le sospensioni adottate per le ruote anteriori sono diverse da quelle posteriori. Inoltre possono essere impiegate delle barre stabilizzatrici o anti rollio, per collegare le ruote dello stesso asse.
gommebologna.it
Il componente elastico
Si tratta di una molla che può essere a spirale o a lamina incurvata.
La molla a spirale è composta da un tondino in acciaio avvolto a spirale. Essa può flettersi in maniera elastica tornando senza deformazioni alla condizione di riposo. Il carico è determinato dalla reazione della strada al peso del veicolo. Questa prima tipologia è la più impiegata nelle sospensioni perché garantisce un ridotto ingombro laterale.
La molla a lamina incurvata, o balestra, è composta da lamine sovrapposte. Più lamine (dette foglie) ci sono, più la molla sopporta carichi maggiori. Questo tipo di molla si usa nelle sospensioni a ponte rigido o a ruote interconnesse. Inoltre sono almeno due, fissate a ciascuna ruota, e costituiscono appoggio e collegamento al telaio. Le varie lamine durante la flessione e il ritorno a riposo scorrono una contro l’altra. Così possono dissipare parte dell’energia cinetica al loro interno.
L’ammortizzatore
La molla, quando viene sollecitata, tende ad espandersi e ricomprimersi creando oscillazioni pericolose che solo in piccola parte vengono assorbite dal peso dell’auto. Per questo motivo interviene l’ammortizzatore, cioè un dissipatore di energia. Viene introdotta nelle sospensioni una resistenza meccanica che smorza l’energia elastica e cinetica della molla. Questa resistenza può operare solo in compressione (ammortizzatore a singolo effetto) o anche in distensione (ammortizzatore a doppio effetto). Gli ammortizzatori possono essere a gas oppure ad olio.
Bracci delle sospensioni
Si tratta di una struttura che collega il porta mozzo della ruota al telaio. Può essere una biella e viene prodotta in ferro, ghisa o lega leggera di Alluminio. Possono essere omessi nel caso di particolari molle a balestra che fungono anche da appoggio per il telaio. La biella è dotata di due boccole alle estremità ed è fissata tramite bulloni. Essa però da sola non è sufficiente. Infatti bisogna tenere conto della forza di taglio presente durante la frenata o in accelerazione. (Il telaio tende a proseguire la corsa in frenata e a rimanere fermo durante l’accelerazione).
Si realizzano dunque bracci con strutture più complesse, a triangolo o a quadrilatero. Essi sono sempre fissati tramite boccole ma tramite più punti su telaio e ruota. Una soluzione alternativa adottata anni fa è quella di agganciare i bracci ad una barra stabilizzatrice trasversale che li trattiene nelle situazioni di frenata.
Costa €50 ed è disponibile a partire da gennaio 2017. Si tratta dell’ultima novità di Lego Technic. Si tratta di un kit che con i suoi 603 pezzi permette di costruire un fedelissimo modellino della BMW R 1200 GS Adventure.
La BMW R 1200 GS Adventure
La BMW R 1200 GS Adventure è una moto progettata per unire passione e condizioni estreme. Rispetto alla R 1200 GS aggiunge 20 mm di luce dal suolo. Protezioni speciali risolvono il problema di buche e sassi e la rendono perfetta per l’off-road. Il motore ha 110 cavalli di potenza e una coppia massima di 120 Nm. Nonostante ciò i consumi rimangono inalterati rispetto al modello precedente. Il motore è bicilindrico a quattro tempi e possiede quattro valvole per cilindro.
Si tratta della prima collaborazione tra Lego e il marchio a cui si ispirano i modellini. Le aziende hanno infatti obiettivi comuni. Nonostante siano molto legate alla tradizione dei loro marchi, guardano al successo e alle innovazioni future. Le due compagnie vogliono regalare emozioni sia agli adulti che ai bambini.
totalmotorcycle.com
Il risultato è sorprendentemente fedele all’originale. Comprende il motore boxer due cilindri incastonato nel telaio in plastica. La novità principale è però il duplice modello da realizzare. Infatti assemblando i pezzi in modo differente è possibile costruire il modellino del concept Hover Ride di BMW. Esso è un concept che riguarda una moto volante. Non è un caso che il modello di questo visionario veicolo sia stato presentato in scala 1:1 al Lego world di Copenaghen. Non capita spesso che invece di costruire il modellino dal modello reale si faccia l’opposto.
Ovviamente si tratta di un modello per ora fantascientifico e da esposizione. Questo perché è privo di uno studio tecnico volto alla realizzazione fisica di una moto volante. Purtroppo per ora rimane un sogno per appassionati di film fantascientifici e veicoli a due ruote. Chissà però che in futuro le cose non possano cambiare!
Comune giornata in una metropoli americana. Sei in ritardo per una riunione di lavoro e hai urgente necessità di un taxi. Prendi lo smartphone e lo prenoti grazie ad un’app. Il taxi atterra, ci sali sopra e decolla. In pochissimo tempo raggiungi la destinazione desiderata. In che anno siamo?
Sembrerà fantascienza, ma si tratta del 2017. Entro la fine di quest’anno infatti entreranno in funzione le prime auto volanti. In particolare la compagnia Airbus sta lavorando al prototipo Vahana. Si tratta di un taxi elettrico a guida completamente autonoma che molto presto solcherà i cieli delle grandi città.
Tom Enders, Ceo della Airbus, ha creato la divisione Urban Air Mobility. Essa è coordinata da Zach Lovering e riguarda una cinquantina di persone operative a Santa Clara (California). Al progetto lavora anche Rodin Lyasoff, proveniente dal MIT ed esperto nella programmazione di algoritmi per elicotteri.
theverge.com
La nascita del progetto
Sembra che la mobilità urbana aerea diventerà un business miliardario. I dati dicono che tra una decina di anni il 60% della popolazione sarà concentrato nelle grandi metropoli. Ovviamente questo porterebbe all’aggravarsi dei problemi di traffico e inquinamento, già oggi particolarmente consistenti.
Si stima che nel 2030 a Londra si perderanno 35 giorni lavorativi all’anno imbottigliati nel traffico. L’idea di un veicolo urbano volante sembra fantascienza. La Airbus la sta trasformando in realtà. Realizzare Vahana secondo Lovering non è nemmeno particolarmente complesso. Infatti le tecnologie attuali permettono queste ambizioni. Ad esempio in volo gli ostacoli sono molti meno.
Naturalmente si potrà creare una rete di taxi di questo tipo una volta regolamentati il volo autonomo e la gestione del traffico “volante”. L’idea è quella di creare dei corridoi aerei nei cieli delle città. Inoltre Vahana potrà atterrare in punti strategici prestabiliti. Dall’aeroporto ai tetti dei grattacieli, passando per gli snodi centrali e più frequentati delle città. Atterraggio e decollo avverranno in senso verticale in modo da non necessitare di piste particolari o spazi enormi.
Inizialmente si prevede che i taxi abbiano un pilota e possano trasportare uno o due passeggeri. Vahana potrà essere prenotato tramite un’applicazione sullo smartphone. Non solo, sono in corso anche altri progetti per il trasporto delle merci o di un numero maggiore di passeggeri.
Non ci resta che aspettare che la fantascienza diventi realtà… grazie all’ingegneria!
“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita.”
Confucio
Può il sogno di un’auto da corsa diventare realtà nonostante mille ostacoli? Noi del Team Vehicle lo abbiamo chiesto a Filippo Mengarelli, CEO della Squadra Corse dell’Università Politecnica delle Marche. Questa squadra nasce nel novembre 2013 con l’intenzione di partecipare alle competizioni universitarie della Formula SAE. È uno dei team più giovani, ma anche più agguerriti.
polimarcheracingteam.com
L’idea e il progetto
Il progetto della Formula SAE è nato più di vent’anni fa ed è attivo a livello internazionale. In particolare è partito dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per poi espandersi e giungere fino in Italia. “I primi team tricolore sono stati quelli di Roma e Padova”, spiega Filippo. Ed è proprio da Roma che l’Università delle Marche ha invitato gli studenti ad esporre l’auto nel loro ateneo suscitando molto interesse.
Nasce così il Polimarche Racing Team. “Il primo anno siamo partiti completamente da zero, facevamo le riunioni in aula studio” racconta Filippo. Le difficoltà iniziali ci sono state, tanto che a febbraio 2014 non erano ancora disponibili i fondi necessari, reperiti un po’ dall’università e un po’ dagli sponsor.
polimarcheracingteam.com
Nonostante ciò, la prima stagione di gare riserva grandi sorprese per il neonato team. Infatti partecipano alla competizione organizzata a Varano, una gara su pista di 22 km brillantemente portata a termine. Una cosa inusuale per le nuove squadre, che solitamente si ritirano prima della fine.
L’evoluzione del team
Il successo a sorpresa porta al team molta visibilità e per il secondo anno viene organizzata anche una campagna di reclutamento. “Durante la seconda stagione abbiamo partecipato a due gare a Varano e a Most (Repubblica Ceca). Il grande ostacolo sono state le squadre tedesche, che avevano dalla loro parte più risorse economiche ed esperienza.” La squadra marchigiana riesce però a portare a casa un terzo posto nella prova di accelerazione. Inoltre un quarto posto nella prova di presentazione design, ottenuto proprio durante l’evento italiano, dà lustro al team.
Per il terzo anno si decide di ricostruire la vettura da zero per puntare più in alto. I risultati non mancano e arriva il primo podio ufficiale nella gara di Ungheria con un ottimo terzo posto. Per questa stagione 2017 si è deciso di mettere a punto e potenziare la vettura già a disposizione. Le gare che il team intende svolgere sono quella italiana, Silverston e Assen.
polimarcheracingteam.com
Abbiamo chiesto a Filippo quali sono state le difficoltà maggiori nella costruzione del team. “Sicuramente la burocrazia ha giocato un ruolo importante. Essendo l’università una struttura pubblica, anche gli acquisti ordinari di materiale possono essere un problema. Inoltre non è trascurabile la fatica iniziale per riportarsi al pari con i top team più esperti e competitivi.”
Il team oggi
Oggi il Polimarche Racing team conta una settantina di ragazzi, provenienti dalla facoltà di ingegneria e da quella di economia. I professori non partecipano a questo progetto nonostante siano disponibili per aiuti o consigli. Le figure di riferimento sono quindi il CEO ed il team leader tecnico, che si occupa della gestione del budget e di seguire lo sviluppo del progetto. I ragazzi che si occupano del progetto vero e proprio sono divisi in otto squadre: Motore, Trasmissione, Dinamica del veicolo, Elettronica, Telaio, Aerodinamica, Simulatore e Marketing.
polimarcheracingteam.com
Quest’ultimo gruppo in particolare si occupa anche di trovare gli sponsor per la squadra. Gli sponsor rappresentano una fetta molto importante per i finanziamenti del progetto. Sono aziende del territorio ma anche a livello nazionale. Esse spesso forniscono macchinari per le lavorazioni o pezzi particolari. In questo modo il team si occupa principalmente dell’assemblaggio dell’auto. Un progetto di questo tipo ha infatti un costo non indifferente che, se si considerano il progetto e la realizzazione, arriverebbe anche a 100 000 euro. Al team è anche richiesto dalla competizione di elaborare un business plan da presentare ai giudici. Esso deve prevedere un’ipotetica produzione di 500 vetture annue e offrire un investimento ad un eventuale imprenditore.
polimarcheracingteam.com
Caratteristiche tecniche
Passiamo ora alle caratteristiche del veicolo. “Prima di ogni competizione sono previste delle verifiche tecniche da parte dei giudici. I regolamenti sono molto severi e privilegiano la sicurezza dell’auto così come l’accuratezza del lavoro svolto” prosegue Filippo. L’auto monta un motore da 600 cm3 con tre cilindri e sei valvole. Dalla seconda stagione è stato realizzato un motore turbo. Nel frattempo è però cambiato il regolamento ed è possibile montare un motore con cilindrata 700 cm3, che è l’obiettivo per il nuovo progetto.
polimarcheracingteam.com
Il telaio è a traliccio in acciaio per ottenere la massima leggerezza della vettura. La carrozzeria è in fibra di carbonio e comprende ali anteriori e posteriori. La scatola cambio è stata sviluppata interamente dal team ed è accoppiata ad un motore di derivazione auto. Questa scelta è particolarmente azzardata ed è ciò che differenzia il Polimarche dalle altre squadre. Se all’inizio il motore auto ha portato non pochi problemi di affidabilità, col tempo si è rivelato ottimo per la guidabilità. I risultati sono una coppia di 100 Nm e una potenza di 80/85 cavalli.
“Per le stagioni future è stato ideato un piano biennale che ci porterà nel 2018 ad avere una vettura con telaio in carbonio estremamente leggero. Inoltre il nuovo motore sarà di derivazione moto KTM o Kawasaki. Gli obiettivi sono la riduzione del peso e l’affidabilità in pista.” Più che un prodotto super tecnico in futuro la squadra vuole sviluppare un’auto efficiente che rifletta la qualità del team.
polimarcheracingteam.com
Il Polimarche Racing team nasce infatti con lo scopo di formare i ragazzi che ne fanno parte. Rappresenta un’esperienza particolarmente intensa a livello personale. È considerabile quasi un lavoro a tempo pieno e dà la possibilità a chi ne fa parte di fare un’esperienza pratica solitamente non prevista nelle università.