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    GTO: tre Ferrari, una leggenda

    Articolo a cura di Giulio Nanni Costa

    Ferrari 250 GTO (1962-1964)

    “Non sei un imbroglione finché non vieni smascherato”

    oppure, come dicevano gli inglesi nel 1962, a meno che il tuo nome sia Enzo Ferrari.

    Dietro a questa beffa da parte del Drake, si nasconde uno dei mostri sacri del meraviglioso mondo delle automobili: la Ferrari 250 GTO.

    Questa storia, come tutte quelle di corse, ha inizio con una sfida. Era l’ormai lontano 1961, quando l’inglese Jaguar presentava al mondo la leggendaria E-Type, anch’essa figlia di un’epoca dove a fare da padrone erano le carrozzerie filanti e dalle forme morbide, soprattutto un’epoca in cui alcune auto stradali potevano diventare, senza troppe modifiche, vere automobili da competizione. Memore dei passati successi della precedente D-Type, Ferrari pensò bene di correre ai ripari, ordinando la costruzione di una nuova vettura.

    L’ingegnere Giotto Bizzarrini ed i suoi tecnici, sulla base della già collaudata 250 SWB

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    (versione a passo corto) costruirono un telaio tubolare in alluminio, che consentiva un arretramento ed abbassamento del motore (il V12 da 3000cc derivato dalla Testarossa). Il “mostro”, così chiamato per via della carrozzeria costruita ed assemblata nel modo tipico dei prototipi, si rivela di gran lunga più efficace in pista dell’auto da cui derivava, grazie alla migliore distribuzione dei pesi ed un baricentro più basso.

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    Nello stesso anno, causa dissapori tra Ferrari e Bizzarrini, quest’ultimo viene allontanato dall’azienda. Successivamente la responsabilità di pensare e costruire una carrozzeria passa ad un giovane, Sergio Scaglietti. Battendo a mano ogni lastra di alluminio, vengono costruite le carrozzerie, con le stesse forme che caratterizzano le vetture come le conosciamo oggi. Ogni esemplare costruito si differenzia dagli altri per alcuni piccoli dettagli. Occorre inoltre ricordare che tre delle trentanove prodotte vengono dotate del motore “330” da 4 l, riconoscibili per la più pronunciata gobba sul cofano.

    La vettura era stata realizzata, ora occorreva omologarla per le competizioni. Le regole FIA per la categoria GT, regolavano la partecipazione di una vettura in base alla quantità di esemplari stradali costruiti. In particolare, erano richiesti almeno 100 esemplari stradali affinché questi modelli vi potessero partecipare. Ed è qui che, un’interpretazione al limite del regolamento, permette alle trentanove 250 GTO (la “O” sta per “omologato”) di scendere in pista. La vettura venne infatti dichiarata come una semplice evoluzione della 250 SWB, della quale erano stati costruiti un numero sufficiente di esemplari (sebbene le differenze tra i due modelli fossero radicali).

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    Questo escamotage, con l’aiuto degli organizzatori che volevano le Ferrari sulla griglia, permise alla 250 GTO di partecipare al campionato mondiale GT fino al 1966 (con la versione del 1964) e di inanellare la vittoria per tre volte consecutive, oltre a circa 200 vittorie in circuiti tipici dell’Endurance (per esempio Le Mans) e a gare di durata su strada (Targa Florio e MilleMiglia).

    La fermata successiva è stata direttamente la leggenda. La maggior parte degli esemplari non è purtroppo giunta ai giorni nostri, non mancano invece tentativi più o meno riusciti di imitarne le linee, su base di Ferrari più “normali”, tra cui anche la già citata 250 SWB. Proprio per questo è probabilmente il modello più ricercato ed apprezzato nella storia Ferrari.

    GTO (1984)

    Gruppo B: bastano queste poche lettere per emozionare qualsiasi appassionato.

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    Categoria di vetture folli ed indomabili che, nei primi anni 80, dominavano i sogni di ogni adolescente, ed incutevano paura ai piloti più esperti. La limitatezza del regolamento, incoraggiò i costruttori a spingere a potenze estreme i motori, e, con i primi materiali compositi ad abbassare drasticamente le masse. Inevitabilmente, causa non adeguate protezioni al pubblico e soprattutto ai piloti, le prime vittime non tardarono ad arrivare, specialmente nei rally. Nonostante la GTO (per distinguerla dalla precedente 250, viene chiamata anche 288 GTO) fosse stata concepita per la pista, nel 1986, causa un grave incidente dell’equipaggio Toivonen-Cresto sulla Delta S4, il Gruppo B venne abolito, rendendo vano lo sviluppo da parte di Ferrari e delle padovane Officine Michelotto.

    Per l’omologazione erano necessarie almeno 200 vetture stradali, di cui la versione da competizione doveva essere un’evoluzione. Nonostante la mancata partecipazione al campionato Endurance, il successo della 288 GTO non si fece attendere. Tutti i 272 esemplari (più, successivamente, uno dei cinque prototipi, opportunamente modificato) trovarono un acquirente ancora prima che la produzione venisse avviata.

    “Potrete averla in qualsiasi colore, a patto che sia Rossa.”

    Linee tese, semplici, efficaci. Ogni dettaglio della sua “progenitrice” 308 GTB è stato esasperato, dai passaruota, allo spoiler posteriore, e per concludere con gli interni ridotti all’essenziale, nella più pura filosofia GTO. Particolare la disposizione a sbalzo del cambio e quella del motore turbo, che qui, a differenza dell’antenata è centrale posteriore. La caratteristica linea nera che percorre l’auto a metà altezza, diventerà poi iconica in alcuni modelli di punta della Casa (F40, F50 e LaFerrari). In altre parole, estremizza la corrente di design tipica delle Ferrari stradali della decade a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, iniziata con la 512 bb, ponendosi inoltre come “matrice” per i successivi “capolavori Rossi”.

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    In particolare il modello da corsa della 288 GTO, la 288 GTO Evoluzione (mai usata in gara), si proporrà come “mamma” della futura F40, la quale, ne deriverà il motore, qui declinato nella sua forma più esasperata ed alcune soluzioni, prevalentemente meccaniche ed estetiche. Questo gruppo propulsore verrà inoltre adottato sulla Gruppo C Lancia LC2, purtroppo non così fortunata, nel campionato Endurance Sport-Prototipi.

    La 288 GTO è figlia di un’epoca in cui i controlli elettronici erano ancora allo stadio embrionale, per cui l’esperienza di guida deve essere quanto di più puro e primitivo ci possa essere. 400cv: ai giorni d’oggi è una potenza che non è raro trovare su automobili più “civilizzate”. Ma in questo caso è la meccanica a fare da padrona. L’assenza di tecnologie e controlli che ormai sono obbligatori anche sulle auto più economiche, la rendono una vettura dall’indole aggressiva. Niente è filtrato, dallo sterzo alla frizione granitici fino all’importante turbo-lag. Sicuramente, ancora oggi, uno dei rapporti uomo-macchina più primordiali ed affascinanti.

    599 GTO (2010)

    Persino nel terzo millennio, governato dall’elettronica, sono presenti alcune eccellenze che

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    riportano alla mente tempi passati, dove l’automobile non era semplicemente un mezzo di trasporto, ma bensì il fascino della velocità, l’irresistibile richiamo delle forme ed il sogno coltivato per anni dai pionieri che si sono appropriati della storia, che viene ogni giorno alimentata dalla passione degli entusiasti, progettisti e costruttori, che la tengono viva. Una di queste è la 599 GTO. Un altro esempio riuscito di serie limitatissima, come da abitudine per il marchio Ferrari.

    La si può pensare come un’automobile dalle doppie origini. La prima, quella da Gran Turismo stradale, dote innata derivata dalla 599 GTB, e la seconda, quella da arma da pista, arrivata dalla vettura-laboratorio 599 XX. Questa capacità, oltre a confermare la bontà del progetto 599, rispecchia il massiccio uso dell’elettronica, che su questo modello, si integra profondamente con la meccanica con il solo scopo di rendere la vettura più veloce ed efficace negli ambiti per cui è stata concepita.

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    Grazie al know-how acquisito nei decenni nelle competizioni GT e F1, la 599 GTO adotta soluzioni al di fuori della normalità, che provano, ancora una volta, quanto possano essere importanti le innovazioni del motorsport trasportate nella produzione di serie. Esempio sono le sospensioni magnetoreologiche (la risposta varia in base ad un campo magnetico generato attorno alla sospensione stessa), i “wheel doughnuts”(particolari carenature attorno ai dischi dei freni per una dissipazione ottimale del calore) e l’utilizzo di materiali compositi e leghe più leggere.

    Sulla scia delle antenate, anche la 599 GTO presenta un’importante riduzione del peso, mediante la rimozione di tutti gli arredamenti interni non indispensabili. Il motore è l’ultima evoluzione del V12 da 6000cc che equipaggiava la Ferrari Enzo e tutte le versioni della 599 ed in questo caso la potenza è stata portata a 670cv e la coppia a 620Nm, abbastanza da far pattinare le ruote posteriori in quarta. Infine, l’esperienza Ferrari nelle corse ancora una volta ha affinato l’aerodinamica. Diverse feritoie sono state aperte nei pannelli per ottimizzare i flussi d’aria, sia sotto che sopra la vettura, in modo da favorire un migliore raffreddamento degli organi meccanici.

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    Complessivamente, la 599 GTO rimane fedele ai canoni stilistici della Ferrari: ogni elemento aerodinamico collabora con gli altri, donando, sia un’efficiente penetrazione aerodinamica, sia un cospicuo carico aerodinamico, tuttavia senza il bisogno di ricorrere a pronunciate appendici aerodinamiche, che andrebbero ad intaccare le linee tondeggianti ed eleganti di questo corpo vettura, firmato dal mitico Leonardo Fioravanti (Pininfarina), peraltro, già autore della seconda GTO.

    Solo 599 facoltosi acquirenti hanno potuto aggiudicarsene una, selezionati attraverso le ferree regole di attribuzione Ferrari.

    Sebbene sia un modello relativamente giovane ha saputo, in poco tempo, ritagliarsi un posto nella storia del Cavallino e nei sogni più proibiti dei Ferraristi.

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    Non sono passati nemmeno 7 anni, che già c’è chi aspetta la prossima Ferrari GTO, nel 2036. E naturalmente, non ci resta che aspettare.


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