Come è cambiata la sicurezza in Formula 1 negli anni (PARTE 1)
Il motorsport moderno si riduce essenzialmente alla ricerca della massima velocità con la massima sicurezza, con quest’ultima che ha sempre la precedenza sulla prima indipendentemente dalle circostanze. Logicamente, non è sempre stato così. Non è raro, infatti, vedere foto storiche che ritraggono i piloti di F1 dell’epoca vincere gare in camicia o berretti di stoffa. Di recente, negli anni Ottanta, i piedi dei piloti erano posizionati davanti all’asse anteriore per ridurre al minimo il passo.
All’epoca gli estintori prodotti dai supermercati sono stati ritenuti sufficienti per affrontare anche gli incendi più grandi. Troppi piloti sono morti dopo che le attrezzature antincendio si sono rivelate difettose o che i marshall fossero mal addestrati. Spesso questi ultimi erano vestiti con abiti casual, con i quali non erano in grado, logicamente, di combattere le fiamme. Un minimo di progresso è stato fatto negli anni Settanta, ma per vedere il tema della sicurezza considerato seriamente, bisogna aspettare il 1994, più precisamente, il tragico weekend di Imola del ’94. Le morti di Roland Ratzenberger e Ayrton Senna, rispettivamente al sabato e alla domenica a Imola hanno cambiato per sempre la F1.
Improvvisamente le corse automobilistiche hanno affrontato una crisi esistenziale. Infatti, i governi minacciavano di vietare lo sport sul loro territorio. I produttori non desideravano più essere legati al motorsport e ai suoi rischi intrinseci. Le emittenti televisive minacciavano di annullare i contratti per non offendere gli spettatori. La morte di Senna è stata considerata la più pubblica della storia, anche se il pilota è morto ufficialmente in ospedale. Gli sponsor, invece, cercavano delle clausole per interrompere la sponsorizzazione per timore che i loro beni e servizi fossero contaminati dall’opinione pubblica. Non sarebbero state viste di buon occhio con quel “letale passatempo”. I decessi in altre categorie automobilistiche di alto profilo come IndyCar, gare di resistenza e rally hanno ulteriormente aumentato la pressione del mondo circostante.
Sicurezza in F1: le origini e le controversie
Il vero problema per cui si tardava ad agire era che i costi per la ricerca in termini di sicurezza erano astronomici. Lo sport era finanziato gran parte dalle iscrizioni, quindi non c’erano i soldi per un fondo dedicato allo sviluppo dei dispositivi di sicurezza. Inoltre, aleggiava una sorta di “mentalità della Seconda Guerra Mondiale” verso la morte, in particolare tra gli spettatori più anziani di questo sport.
Per fortuna, però, la situazione è cambiata, specialmente all’inizio di questo secolo. I diritti televisivi e commerciali di tutte le categorie della FIA hanno consentito alla stessa di dedicarsi alla ricerca di dispositivi di sicurezza. Il primo grande progetto sono stati gli attacchi per le ruote nel 1998 seguiti dal collare Hans nel 2003 e dai pannelli della visiera, oltre che a delle protezioni di lato alla testa del pilota, immagine sotto. In particolare, con quest’ultimo sulla scia dell’incidente di Felipe Massa del 2009 all’Hungaroring, quando il pilota della Ferrari è stato colpito da una molla persa dalla Brawn GP di Barrichello. L’halo, introdotto nel 2018, è la più recente innovazione visibile in materia di sicurezza. Tuttavia, le auto e i circuiti incorporano altre innovazioni di basso profilo o invisibili che hanno portato gli standard a livelli inimmaginabili ai tempi di Jackie Stewart.
Nel prossimo articolo parleremo della gestione”burocratica” degli incidenti.