Quella volta che Subaru costruì un boxer 12 cilindri da Formula 1
Qualunque appassionato di motorsport conosce la casa automobilistica Subaru. Il binomio Subaru-WRC è diventato leggenda negli anni novanta e duemila per il numero di campionati mondiali vinti, ma anche i videogiochi come Gran Turismo e Colin McRae Rally hanno dato un boost importante.
Oltre al WRC, però, a livello di motorsport mondiale, Subaru non ha affatto brillato. In pochi sanno, però, che ancora prima dei rally, Subaru già aveva intenzione di mettere in risalto le sue abilità ingegneristiche, provando a realizzare proprio un motore da Formula 1. Subaru voleva riportare la filosofia del motore boxer in Formula 1. Il motore realizzato, infatti, era un boxer 12 cilindri che ancora oggi è il boxer più grande, ma al contempo meno riuscito della storia dell’azienda giapponese.
L’idea di Subaru di entrare in Formula 1
La fine degli anni ottanta fu un periodo di boom per l’economia giapponese e la sua industria automobilistica celebrò questa crescita finanziaria con ogni sorta di costose espansioni, auto sportive e scuderie. Desiderosa di essere coinvolta in questo boom, Subaru si rese conto che non poteva eguagliare l’imminente RX-7 di Mazda o la nascente NSX di Honda nello showroom. Tuttavia, non c’era motivo per cui non potesse sottoscrivere un team di F1 alle prime armi come fornitore di motori.
Naturalmente, il termine “fornitore” è da prendere con le pinze. Praticamente senza esperienza nel mondo delle competizioni di fascia alta, Subaru ha incaricato Motori Moderni (azienda nata a Novara specializzata nella progettazione e costruzione di motori da competizione, in particolare per Formula 1 dove fu attiva tra il 1985 e il 1987 e di nuovo nel 1990) di fungere da “accompagnatore” in questo nuovo mondo. L’azienda è arrivata con un pedigree a ruote scoperte stabilito dall’Alfa Romeo, poiché il proprietario e manager di Moderni, Carlo Chiti, aveva avuto successo nelle corse come capo ingegnere del marchio italiano prima di sfruttare la sua reputazione per fungere da costruttore privato di motori per i team Minardi e AGS .
Sebbene i recenti cambiamenti ai regolamenti all’epoca abbiano fatto acquistare a Chiti un V12 da 3,5 litri ai team di F1 all’epoca, Moderni era fin troppo felice di cambiare le carte in tavola e costruire un motore boxer che avrebbe rafforzato il marchio Subaru all’apice delle corse. Con nient’altro che flat-four e flat-six nel suo portafoglio, un flat-12 sembrava il passo successivo, poiché avrebbe incarnato molti degli stessi principi ingegneristici (in particolare un baricentro basso) che l’azienda vantava quando pubblicizzava le sue auto da strada. Questo motore si chiamava Subaru 1235.
Il motore sbagliato per l’auto sbagliata
Nonostante i buoni propositi e la volontà mostrata dalle parti coinvolte, il boxer 12 cilindri da 3,5 litri invece che mettere in risalto i pregi del propulsore, mise alla luce solamente i difetti nel momento in cui fu fatto funzionare in quel mondo ad alte prestazioni. Il primo problema riguardava il peso, una componente cruciale in uno sport come la Formula 1. Quando il motore era assemblato con tutti i suoi accessori, il motore pesava 100 chili in più rispetto ad un V8 da Formula 1.
Questo problema fu aggravato dal fatto che Moderni non è mai stato in grado di far erogare oltre i 550 CV dal propulsore. Questo si traduceva in uno svantaggio di ben 100 cv rispetto ai concorrenti. Se 10-15 cavalli fanno una differenza di alcuni decimi di secondo a parità di auto, figuriamoci 100 cv.
Ma non è tutto: come se ciò non bastasse, si presentò un altro problema in fase di installazione nella Coloni C3B (questo era il nome della vettura della scuderia Coloni): quando il motore venne alloggiato nella vettura, fu notato che le dimensioni del motore richiedevano due condotti laterali, invece che l’airscope classico posto sopra la testa del pilota, come mostrato nella foto seguente.
Questa soluzione imponeva due grandi ripercussioni: veniva influenzata notevolmente in negativo l’aerodinamica della vettura, e poi non era più possibile sfruttare il tunnel venturi posto sotto l’auto. Anche quest’ultimo fattore andava a peggiorare quello che era il carico aerodinamico della vettura.
Quindi, in sintesi, il motore era pesante, lento e influenzava in negativo l’aerodinamica. Dopo solo otto gare di tentativi, e fallimenti, di pre-qualificarsi per un evento durante la stagione 1990, Subaru tagliò i legami con Motori Moderni. La Coloni dovette continuare la stagione con il Cosworth V8 dell’anno precedente. Quindi oltre al danno anche la beffa per la scuderia: non solo in origine alla Coloni era stato offerto un motore non prestazionale, ma poi si ritrovò a dover correre con un motore che era arretrato almeno di un anno in termini di sviluppo rispetto alla concorrenza.
Il motore Subaru 1235 diventa un propulsore per auto di lusso
Il fallimento in Formula 1 non ha segnato la fine del motore Subaru 1235. Come con qualsiasi propulsore esotico, non mancavano i “corteggiatori” pronti a sfruttare l’enorme investimento della Subaru a proprio vantaggio. Il primo è stato Giorgio Stirano dell’Alba Engineering, che si è ritenuto fortunato ad imbattersi in un valido propulsore da 3,5 litri per il suo programma di prototipi del Gruppo C in un anno in cui i recenti cambiamenti alle regole della FIA avevano costretto molti produttori e team ad abbandonare. Gli stessi problemi che avevano afflitto Coloni avrebbero perseguitato anche Alba per tutto il 1990, con un’aerodinamica scadente e un terribile rapporto peso-potenza che rendevano pressoché impossibile competere in pista.
Il Gruppo C sarebbe stata l’ultima possibilità di restare nel motorsport per il motore Subaru 1235. Tuttavia c’erano ancora potenziali clienti là fuori nel mondo delle automobili di lusso su misura. Sia Dome (famoso costruttore della Zero, così come di numerose auto da corsa Toyota) e Christian von Koenigsegg avrebbero provato il boxer 12 cilindri rispettivamente nella Jiotto Caspita e nel prototipo originale Koenigsegg.
Costruita per Jiotto Design Studio, la vettura a motore centrale di Dome in realtà risale ad alcuni anni precedenti all’approdo di Subaru in Formula 1. Infatti, la presentazione al Tokyo Auto Show risale al 1989. Tuttavia per la Caspita II, fu adottato un motore V10 Judd della stessa cilindrata.
In ambito motorsport, quindi, il motore ha riscontrato solo risultati disastrosi. Le sue possibilità di iporsi sul mercato, però, sono state maggiori in Svezia, in quanto ha catturato l’attenzione di Koenigsegg grazie a un incontro casuale con un amico di Carlo Chiti. Il motore era salito a 3,8 litri di cilindrata per una potenza massima di 580 cv a 9.000 giri/min. Dopo aver stretto un accordo con Motori Moderni, il boxer di Subaru sostituì inizialmente il V8 Audi sul prototipo di Koenigsegg nel 1996. La morte di Carlo Chiti poco dopo l’installazione del motore nel prototipo segnò la fine della collaborazione tra Motori Moderni e Koenigsegg. Mentre Koenigsegg ha acquistato all’asta progetti e attrezzature per la Subaru 1235, alla fine ha ritenuto che fosse troppo complicato da produrre internamente.
Fu così che Subaru, tentò l’approccio nel WRC. Subaru aveva fatto una pessima figura nel motorsport ed era lo “zimbello” del paddock, l’esatto opposto di come avrebbe voluto apparire agli occhi di tutti. Tre anni dopo l’esordio disastroso in Formula 1, Subaru debuttò con il suo team di rally e avrebbe scoperto che le auto da corsa basate sui corrispettivi modelli stradali offrivano una portata molto più efficace negli sport motoristici. Nello specifico, le corse di rally legavano l’azienda direttamente ai clienti che potevano presentarsi presso un concessionario dopo l’ultima vittoria e portare a casa quasi la stessa macchina che avevano visto in TV il fine settimana precedente, o almeno questa era la sensazione a primo impatto da parte del cliente. Abbracciare questa filosofia di successo ha consentito di farsi un nome importate nei due decenni successivi, facendo finire nel dimenticatoio quanto accaduto in Formula 1 in quel 1990.