Tutti conosciamo la Toyota Prius, la prima vettura ibrida ad ottenere un buon riscontro in termini di vendite, ma non tutti sanno che qualche anno prima, precisamente 10 anni prima, Alfa Romeo prese quella strada con la 33 ibrida. Si trattava di un progetto all’avanguardia per l’epoca, a cui però non seguì una produzione in serie.
Siamo alla fine degli anni ’80. L’azienda milanese non navigava in buone acque (nel 1986 cambiò tra l’altro proprietà, passando da Iri a Fiat), ma ciò nonostante il suo centro sviluppo riusciva a pensare sempre a soluzioni originali, persino avanti certe volte per l’epoca. Un modello di particolare successo sfornato in quegli anni da Alfa Romeo è la 33, diretta discendente dell’Alfasud di cui ereditò buona parte della base meccanica. Proprio la 33, nella sua variante station wagon, funse da vettura-laboratorio per sviluppare un tipo di propulsione allora sconosciuto al grande pubblico, ovvero la propulsione ibrida. Vennero prodotti in tutto tre esemplari di Alfa 33 ibrida.
L’idea alla base del progetto “Alfa Romeo 33 ibrida” era quella di offrire al pubblico una vettura sufficientemente spaziosa che potesse essere utilizzata in città e che offrisse consumi ed emissioni contenuti. Proprio per il maggior spazio a bordo in grado di garantire per occupanti e bagagli venne utilizzata come base la 33 station wagon. Vi chiederete com’è possibile considerare idonea per l’utilizzo cittadino una station wagon. È da considerare che in realtà l’Alfa Romeo 33 aveva ingombri paragonabili a quelli di una odierna segmento B, anche nella sua variante station wagon (quest’ultima ha una lunghezza di 4,16 metri).
Veniamo alla realizzazione dell’Alfa Romeo 33 ibrida. I progettisti presero come base la 33 station wagon spinta dal motore a benzina quattro cilindri boxer 1.5 da 95 CV a iniezione con quattro valvole e accensione elettronica CEM. A esso fu abbinato un motore elettrico asincrono trifase, collocato anteriormente, in grado di fornire 16 CV e 60 Nm di coppia realizzato dalla Ansaldo di Genova. Il cambio era un tradizionale 5 marce manuale, collegato al cambio tramite una cinghia dentata.
L’energia necessaria a far funzionare il motore elettrico era fornita da una batteria al nichel-cadmio, e non da una più classica al piombo. Venne scelta una batteria al nichel-cadmio perché era in grado di erogare e ricevere correnti molto elevate, aveva potenzialmente una vita più lunga rispetto a una batteria tradizionale e non si danneggiava neanche se si scaricava completamente. Il rovescio della medaglia stava nella limitata capacità di immagazzinare energia, solo 1,5 kWh. La batteria era posizionata a sbalzo oltre l’asse posteriore, sotto il piano di carico (e così diminuiva leggermente la capacità del bagagliaio), e aveva un peso di 110 kg.
La 33 ibrida era in grado di procedere utilizzando solo il motore termico o solo il motore elettrico oppure entrambi. In modalità elettrica la 33 ibrida poteva raggiungere una velocità massima di 62,4 km/h e aveva un’autonomia di 5 km. Come avviene nelle auto ibride che conosciamo, il motore elettrico in fase di rilascio recuperava energia cinetica, che veniva così utilizzata per ricaricare la batteria.
Rispetto alla 33 di partenza, l’aggravio di peso (di base poco superiore ai 900 kg in ordine di marcia) era tutto sommato modesto: 150 kg di cui 110 di batterie, 20 di motore e 10 per l’elettronica di potenza. Questo peso, però, incise in maniera negativa su prestazioni e guidabilità, come documentato all’epoca dalla rivista Quattroruote, che ebbe modo di testare il prototipo.
Per motivi legati all’affidabilità, il 1.5 venne limitato nelle prestazioni. Non potendo superare un regime di rotazione di 4500 rpm, la velocità massima e l’accelerazione ne risentivano negativamente. Con il solo motore termico, lo 0-100 km/h venne coperto in ben 27,5 secondi e la velocità massima raggiunta fu di soli 139,8 km/h.
La macchina poteva partire utilizzando il solo motore elettrico, con il motore termico che entrava eventualmente in funzione tra i 5 e i 60 km/h. Questa modalità di funzionamento aveva lo scopo di ridurre i consumi nei percorsi urbani, tutt’oggi punto di forza delle auto ibride. Nei percorsi extraurbani, però, i consumi sarebbero probabilmente risultati più elevati, per il maggior peso e il contributo nullo del motore elettrico. Degna di nota era l’adozione di una frizione per scollegare il volano dall’albero motore nel passaggio dalla modalità elettrica a quella classica con motore termico per renderla meno brusca. Allo stesso tempo però la rumorosità risultava elevata, a causa della cinghia dentata in gomma che collegava il motore elettrico al cambio.
Nonostante prestazioni velocistiche tutt’altro che al top e una guidabilità non al livello delle 33 normali, il progetto mostrava nel complesso delle buone potenzialità. Purtroppo però lo sviluppo non fu portato avanti, per cui l’Alfa Romeo 33 ibrida si fermò allo stadio di prototipo. Poteva essere la prima auto ibrida prodotta in serie, invece si dovette aspettare altri 10 anni per il debutto sul mercato di un’automobile di questo tipo, ovvero la prima generazione di Toyota Prius. Alfa Romeo, invece, ancora oggi non annovera nella propria gamma (ridotta alle sole Giulia e Stelvio) un modello ibrido, neanche di tipo mild.